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I misteri di San Galgano

La spada nella roccia
La spada nella roccia

Quando si sente parlare della Spada nella Roccia si pensa immediatamente a Re Artù (complice anche il cartone animato di Walt Disney) e magari ai Cavalieri della Tavola Rotonda e ai racconti del Graal.
Si resta quindi interdetti quando si scopre che l’unica e vera spada nella roccia non è in Francia o in Inghilterra ma in Italia, in Toscana, a San Galgano, appunto.
Quale mistero racchiude questa sconcertante verità?

La risposta non è semplice ma, con un po’ di pazienza, possiamo cercare i districarci al meglio nei meandri della Storia, tra verità e leggenda, tra tradizioni celtiche e cristiane.

L’Abbazia di San Galgano e la Rotonda di Montesiepi oggi

La Rotonda di Montesiepi
La Rotonda di Montesiepi

L’abbazia di San Galgano, o meglio ciò che ne resta, è una grande chiesa gotica, priva del tetto, sperduta nella campagna toscana, in provincia di Siena, di enorme suggestione.

A pochi centinaia di metri dall’abbazia sorge la Rotonda di Montesiepi, una cappella più antica, costruita forse dallo stesso Galgano (1148-1181) poco prima di morire. È qui che si trova la Spada nella Roccia.

La spada si trova lì dai tempi di Galgano. Qualcuno dice che fino al 1924 si poteva estrarre ma che, durante dei lavori di restauro, fu bloccata con del piombo fuso. Negli anni ‘60 fu spezzata da un vandalo e successivamente ricomposta.

I cistercensi cominciarono a costruire una grande abbazia solo una ventina di anni dopo la morte del Santo, in vicinanza al luogo dove San Galgano visse gli ultimi anni.

Forte di un gran numero di privilegi ed esenzioni da parte dei Papi e degli imperatori e di un gran numero di proprietà ben al di là dei confini locali, l’abbazia prosperò fin verso la meta del ‘400, quando cominciò a essere depredata da soldatesche sbandate che vagavano per l’Italia.

Vi risiedettero al massimo tra i 50 e i 100 monaci cistercensi più i conversi e il personale di servizio.

Già nel ‘500 le condizioni erano precarie e la testa di San Galgano fu portata a Siena per evitare che fosse rubata.

L'abbazia
L’abbazia

L’abbazia era davvero troppo grande e costosa da mantenere per le possibilità del territorio. Nel 1768 crollò il tetto, nel 1786 rovinò il campanile facendo gravi danni anche alla chiesa, il complesso fu abbandonato al suo destino e la chiesa fu sconsacrata. Già all’inizio dell’800 l’abbazia si presentava in uno stato simile a quello odierno. La Rotonda di Montesiepi fu invece sempre mantenuta officiante e consacrata.

La materia arturiana e la Spada nella Roccia

Il primo riferimento letterario ad una spada conficcata in una roccia risale al poema Merlino di Robert de Boron, che visse tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII, scritto intorno al 1191, cioè dopo la morte di San Galgano italiano.

Boron scrisse un altro poema, Giuseppe d’Arimatea, e, forse, anche un Perceval e un Morte di Artù, andati perduti. Fu il primo autore a darci la versione cristiana della leggenda del Graal che è la seguente: Giuseppe d’Arimatea usò il Graal per raccogliere il sangue di Cristo e lo portò ad Avalon, dove fu custodito dalla sua famiglia fino all’arrivo di re Artù e Perceval (o Parsifal o per altri Galvano).

Alcuni interpretano la storia in modo simbolico. Il sangue di Cristo non era altro che la sua progenie che, in grembo a Maria Maddalena, fuggì in Francia, protetta da Giuseppe d’Arimatea, a Saintes Maries de la Mer, dove diede inizio alla dinastia dei Merovingi. Da cui l’assonanza in provenzale tra Sant Graal e Sang Real.

Prima di Robert de Boron esistevano (forse) delle leggende sul Graal di provenienza celtica ma di cui non ci è rimasto niente di scritto e di preciso se non il poema Perceval di Chretien de Troyes (pron. Cretien de Truà) coevo a quello di Robert de Boron.

La storia raccontata da Chretien è un po’ diversa da quella di Boron , la parte cristiana viene dimenticata, non si parla di spada nella roccia (ma c’è una spada spezzata), né di una coppa. Il Graal è una cosa misteriosa, che si può tenere in mano e incastonata di pietre preziose. Qui però compare il nostro Galgano (Gawain) che non è un santo ma un cavaliere della tavola rotonda nipote di re Artù, figlio di sua sorella Morgana.

Ma anche Chretine de Troyes (1135-1190) è posteriore al nostro Galgano italico, che si ritrova ad essere il più antico di tutti, seppure di poco.

I racconti del Graal sono ambientati in Bretagna, sia essa quella francese o inglese.

Tutti i personaggi del Graal e del Cavalieri della Tavola Rotonda sono personaggi di fantasia mentre il nostro San Galgano è un personaggio storico, di cui sappiamo molte cose e che fu canonizzato subito dopo la sua morte (precisamente quattro anni dopo, nel 1185).

Cosa sappiamo di San Galgano, tra verità e tradizione

San Galgano nacque a Chiusdino, a pochi chilometri dalla attuale abbazia, intorno al 1148 e morì nel 1181. All’epoca il paesino era sotto Volterra anche se successivamente passò sotto Siena. Sappiamo molto della sua vita perché abbiamo i resoconti del suo processo di beatificazione, il primo della storia.

Egli nacque poco prima della morte di San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), il fondatore di fatto dei cistercensi e l’ispiratore dei Templari. Fu quindi contemporaneo di Eleonora d’Aquitania (1122-1204) e di Federico Barbarossa (1122-1190).

Visse ai tempi della seconda crociata (1147-1149), bandita dal Papa Eugenio III (1080-1153, Papa dal 1145), l’unico Papa circestense, amico fraterno di Bernardo, a cui parteciparono l’imperatore Corrado III e il re di Francia Luigi VII. Eleonora d’Aquitania, all’epoca moglie di Luigi, lo accompagnò come pellegrina in una spedizione scandalosa e ben poco militaresca.

La crociata si risolse in un disastro, Re Luigi si salvò per miracolo e il comportamento di Eleonora fu severamente criticato. Cominciarono lì i dissapori tra la coppia che condussero poi all’annullamento del loro matrimonio.

Questo era il mondo dove nacque e visse Galgano, un mondo di monaci, di santi, di cavalieri, di crociati e di templari ma anche di dame e di poeti.

Galgano era un esponente della nobiltà locale, un cavaliere che in gioventù si era distinto per un comportamento prepotente e lussurioso. Nel 1178, quando Galgano aveva trent’anni, il padre morì e Galgano cominciò ad avere delle apparizioni. Una prima volta sognò l’Arcangelo Michele, il santo dei cavalieri e dei guerrieri, che con la sua spada sguainata sconfigge Lucifero.

E infatti in una prima visione Michele lo chiama a sé per farne un guerriero (cioè un crociato, un templare, dati i tempi).

Ma in una seconda visione gli rivela che il suo futuro sarà diverso. Lo guida sopra un fiume, lungo un grandissimo e periglioso ponte, fino ad un prato meraviglioso che nasconde una caverna. Entratovi Galgano sbuca presso una casa rotonda dove i 12 apostoli lo attendono. Essi gli danno un libro. Galgano non sa leggere e quindi accantona il libro ma chiede di cosa di tratti. Gli apostoli gli rispondono che dovrà costruire proprio in quel luogo una casa di Dio e lì dovrà restare. (Si tratta di un percorso iniziatico simile a quello che fanno i Cavalieri della Tavola Rotonda alla ricerca del Graal. In alcune versioni si cita anche un misterioso libro dove sono custoditi i segreti del Graal).

La madre Dionisia cerca di dissuaderlo: ‘Figlio mio, il freddo è eccessivo, la fame intensa, il luogo quasi inaccessibile: come vi andremo?’ (Anche in molti racconti del Graal l’eroe, sia esso Perceval, Parsifal o Galvano, ha una madre vedova che cerca di dissuaderlo).

Galgano è sempre più perplesso ma un giorno il suo cavallo si ferma e non ne vuole più saperne di proseguire. Egli scende da cavallo e si accorge di essere proprio nel luogo della sua visione.

‘E sguainata la spada, non essendo in grado di fare una croce dal legno, piantò subito la stessa spada per terra, come croce. Ed essa, per virtù divina, si saldò in modo tale che né lui né altri, con grandissimo sforzo, fino ad ora poterono estrarre’.

Sappiamo questi particolari perché ce le ha tramandati la testimonianza sotto giuramento di sua madre Dionisia durante il processo di beatificazione. (Le frasi tra virgolette sono la traduzione dal latino medioevale di una pergamena conservata a Roma nella biblioteca Chigi).

A quel punto Galgano tenta per due volte di tornare a casa ma alla terza volta ode una voce: ‘Ferma il tuo piede, Galgano, perché questo è il tuo luogo, qui il tuo riposo’.

Galgano rinuncia quindi a tutto e diviene eremita a Montesiepi, proprio nel luogo dove aveva infilato la sua spada nella roccia. (Resterà lì fino alla fine dei suoi giorni, non molto tempo dopo, come imperituro guardiano del luogo, un po’ come erano condannati a fare i Templari che custodivano il Graal).

A questo punto, nel testo della beatificazione, vi è una strana disgressione: benché eremita Galgano si reca a Roma per vedere il Papa Alessandro. Alcuni monaci invidiosi cercano di estrarre la spada nella roccia ma, non riuscendovi la rompono per sfregio. Secondo la madre Dionisia essi finiscono male. Secondo una tradizione locale più precisa uno di loro cadde in un fiume e annegò, un secondo fu incenerito da un fulmine e un terzo fu attaccato da un lupo ma si salvò chiedendo perdono a Galgano. Nella cappella del Lorenzetti attigua alla Rotonda sono appunto conservate le mani dell’invidioso monaco strappatagli dal lupo (l’analisi al C14 ha confermato che si tratta di resti del XII secolo).

Galgano di ritorno da Roma è sconfortato ma il Signore gli dice di mettere a contatto i monconi della spada che si rinsalderanno insieme più forti di prima.

(La spada spezzata è un archetipo che si trova anche in molti racconti, arturiani e non, che fa forse riferimento al fatto che Guglielmo aveva dovuto lasciare la sua contea di Tolosa per far avere a sua figlia qualcosa di più grande. Per un suo significato esoterico si possono vedere Guenon e Tolkien, dove è la dama che conosce il segreto per rinsaldare la spada e riconquistare il regno. Un simbolo delle nozze alchemiche del Re e della Regina).

A differenza di Artù che estrae la spada dalla roccia e trasforma una croce in un arma, Galgano però fa l’opposto: trasforma la spada in una croce, cioè rinuncia alle armi e alla guerra per vivere in pace e in solitudine. È un santo pacifista, un precursore di San Francesco (1181-1226), che nasce proprio quando Galgano muore e che si ispirerà a lui di lì a poco.

I miracoli che ci sono descritti per giustificarne la santità non sono in realtà niente di speciale. In genere aiutava chi si doveva liberare da qualche legaccio o da qualche prigione in cui era detenuto ingiustamente. Aiutava chi doveva scappare insomma. Cosa giusta per un cavaliere che perseguiva la giustizia ma che ha forse un riferimento nascosto al simbolismo di Galgano, come si vedrà dopo.

In sostanza Galgano era un cavaliere di provincia ma che doveva avere un gran fiuto per l’aria che tirava nel mondo, riuscendo ad anticipare di vent’anni sia i racconti dei Cavalieri della Tavola Rotonda che addirittura San Francesco.

Che sia stato questo il motivo del suo straordinario successo?

I misteri dell’Abbazia

Un primo mistero

La spada nelle roccia è di per sé un mistero perché nessuno sa come Galgano abbia potuto inserirla ma su questo evento possiamo dire ben poco. Le varie manomissioni che ha subito, anche in epoche recenti, riducono ulteriormente le possibilità di indagine. Di certo si sa che è autentica da un’analisi metallografica del 2001.

Ma cosa c’entra un santo, tutto sommato locale, come San Galgano con le storie di Re Artù, dei Cavalieri della Tavola Rotonda alla ricerca del Santo Graal, la cui risonanza è mondiale?

Qui Galgano ‘pianta’ la sua spada nella roccia da cui non può più uscire, come fosse una croce, e si trasforma da cavaliere in eremita e in santo, un emblema di pace. Artù invece ‘estrae’ la spada e trasforma la croce in un arma e diventa un Re. Più o meno il contrario.

La piccola chiesa, la Rotonda di Montesiepi, la cui costruzione fu iniziata forse proprio da San Galgano nel 1180, è appunto ‘Rotonda’, come la Tavola dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Ma qui i posti sono 13 (come gli apostoli più Gesù) invece che 8.

Galvano (in realtà Gawain ma la scrittura medioevali dei nomi è sempre incerta), nei racconti del Graal di Chretien de Troyes, è un cavaliere della Tavola Rotonda, nipote di Re Artù, figlio della sua sorellastra-strega Morgana. In altri è invece un eroe cercatore del Graal come Parsifal e, come Parsifal, è figlio di una vedova.

Galgano, quello vero, era anche lui ‘figlio della vedova’ Dionisia (Figlio della vedova è una locuzione che i massoni usano per indicare loro stessi).

Galvano (Gawain) in alcuni racconti arturiani, riesce a recuperare il Graal e a porlo in salvo a Montsalvat, custodito per sempre dai Cavalieri Templari. Galgano, quello vero, è invece vincolato a restare per sempre a Montesiepi, a custodire la sua spada. Montesiepi ha una certa assonanza fonetica e di significato con Montsalvat.

San Galgano è un personaggio storico su cui abbiamo molte testimonianze (come il testo del suo processo di canonizzazione del 1185). I personaggi arturiani sono invece mitici e le loro prime testimonianze letterarie sono posteriori di una ventina di anni rispetto al santo toscano.

La spada nella roccia fu quindi invenzione originale di San Galgano e non degli chansonnier arturiani del Graal.

Come è stato possibile che le suggestioni originali di un santo locale toscano siano state trasformate in una epopea mondiale?

Un secondo mistero

Al di là del senso di meraviglia che coglie chiunque si affacci alla piccola valle dove svetta l’abbazia che ha come tetto il cielo, la nostra mente razionale non può non può non stupirsi di come una chiesa così grande sia stata costruita proprio lì, in mezzo al nulla.

È vero che i cistercensi costruivano i loro monasteri di clausura, in luoghi sperduti appositamente, perché volevano isolarsi dal mondo ma l’Abbazia (vi erano anche un chiostro e un monastero, oggi scomparsi) è davvero maestosa per essere in un luogo così fuori mano.

L’abbazia è lunga circa 70 metri e larga circa 20-33 metri (1600 mq). Notre Dame di Parigi, di poco posteriore, è circa 130 metri per 40-60 (5000 mq) e può contenere 18.000 persone. San Galgano poteva contenere quindi teoricamente quasi 6.000 persone, un terzo della cattedrale di Parigi.

In una piccola valle dimenticata della Toscana?

L’abbazia madre, quella di Clairvaux, fondata da San Bernardo era di poco più grande (106 metri per 25) ma qui vivevano ben 700 monaci, contro i 50-100 che stavano a San Galgano.

Le abbazie cistercensi non erano aperte ai fedeli del luogo ma erano riservate ai monaci e ai conversi, tutti rigorosamente maschi.

L’Abbazia di San Galgano sembra cioè sovradimensionata rispetto al luogo in cui sorge e non se ne capisce il perché.

Un terzo mistero

San Galgano non fu un santo qualsiasi ma fu il primo per il quale di svolse un ‘processo’ in piena regola, cosa che fu replicata sempre in seguito. I suoi miracoli e le sue gesta furono però abbastanza banali e certamente non tali da dargli la risonanza che immediatamente ebbe.

Inoltre fu santificato subito dopo la sua morte con un processo rapidissimo, nel 1185, a soli quattro anni dalla morte. Perché addirittura Federico Barbarossa insistette perché un suo uomo, il cardinale Konrad da Wittelsbach, presiedesse il tribunale incaricato del processo di beatificazione?

Quali santi aveva in paradiso Galgano?

Un quarto mistero

Fin da subito la comunità cistercense che costruì l’abbazia ebbe una serie di privilegi inauditi sia da parte del Papa che dell’Imperatore (il che permise di costruire una chiesa del tutto sproporzionata al luogo). Il Cartulario in pergamena custodito all’Archivio di Stato di Firenze è impressionante. Si arriva addirittura a concederle il privilegio di battere moneta, i quarteruoli, monete di ottone o di rame con poco valore intrinseco ma con una circolazione che fu abbastanza vasta, dove era rappresentata la famosa spada nella roccia.

Quarteruolo
Quarteruolo

Perché tutti questi immensi privilegi, questi trattamenti di favore da parte delle maggiori autorità del tempo?

Chi fu davvero questo Galgano o, forse meglio, chi rappresentava?

Un quinto mistero

A scoprire le spoglie mortali di San Galgano furono dei monaci cistercensi che subito cominciarono a costruire il loro monastero.

Galgano, da cavaliere, aveva forse avuto a che fare con i templari che erano di stanza lì vicino, a Frosini, ma non sono note relazioni con i cistercensi, a meno che non si voglia considerare affine ai cistercensi Guglielmo di Malavalle (m. 1157), il fondatore dell’eremitismo toscano e dell’ordine dei guglielmiti, che era vissuto a Castiglion della Pescaia.

Il primo biografo di Galgano fu un cistercense, Rolando Pisano, che era appunto di Pisa, e che scrisse la Legenda beati Galgani nel 1197.

Ma perché i cistercensi si concentrarono immediatamente sull’eremo di Galgano e ne fecero cosa loro?

La chiave di tutti i misteri

Possono esistere spiegazioni parziali per ognuno di questi misteri ma, a nostro avviso, vi è una sola ipotesi che permette di renderne conto di tutti contemporaneamente e che fa perno proprio sulla misteriosa figura di Guglielmo di Malavalle.

Le informazioni ufficiali (tratte da ‘Il Grande Libro dei Santi. Dizionario enciclopedico’, 1998) ci raccontano molte cose interessanti. Egli era un cavaliere francese (era noto anche come Guglielmo di Aquitania o Guglielmo il Grande) la cui vita era stata violenta e dissoluta ma che, in una data imprecisata antecedente al 1145, si convertì.

Si recò quindi a Roma per chiedere perdono al Papa. Guarda caso era appena stato nominato Papa Eugenio III, il cistercense amico di San Bernardo.

Evidentemente Guglielmo era un personaggio importante per poter essere ricevuto dal Papa in persona e, molto probabilmente, si muoveva nell’ambito dei cistercensi di San Bernardo, a cui Eugenio non poteva dire di no.

Eugenio III inflisse al cavaliere pentito una punizione esemplare: un pellegrinaggio a Gerusalemme, dove egli si recò nel 1145, poco prima del varo della seconda crociata, quella di Eleonora, nel 1147.

Di ritorno in Italia, forse intorno al 1150, Guglielmo il Grande sbarcò a Pisa ma non ci pensò proprio a tornare in Aquitania. Per qualche anno si ritirò in luoghi impervi del pisano, spinto da un desiderio di uscire dal mondo, fino a che si trasferì a Castiglion della Pescaia, in una valletta così malsana e malarica che si chiamava appunto Malavalle.

Aveva solo due discepoli noti, Alberto (che scriverà le sue memorie e la regola dei guglielmiti) e Rinaldo (che potrebbe anche essere il Rinaldo da Pisa che scrisse le memorie di Galgano).

All’epoca Galgano aveva solo 5 anni e vanno quindi esclusi rapporti diretti tra i due.

L'eremo di Malvalle
L’eremo di Malavalle oggi in rovina

Che Guglielmo di Malavalle, noto anche come Guglielmo di Aquitania e Guglielmo il Grande, fondatore dell’Ordine dei Guglielmiti che ebbe un grande rilievo in tutta Europa, fosse in realtà Guglielmo X d’Aquitania fu una voce che cominciò a girare fin da subito. In un’altra biografia del monaco eremita, scritta da Teobaldo di Canterbury nel 1210, la cosa era adombrata chiaramente.

Guglielmo il Grande in realtà non fu mai santificato. Se mai si fosse trattato davvero di Guglielmo di Aquitania è cosa facile da comprendere: era stato scomunicato dal Papato per aver appoggiato l’antipapa Anacleto invece del Papa legittimo Innocenzo II.

Ma non solo: i conti di Tolosa erano sempre stati in odore di eresia e avevano comportamenti comunque scandalosi, provenivano addirittura dalle terre dei Catari, con i quali avevano tenuto rapporti ambigui. C’era chi sussurrava che si considerassero eredi diretti della casata di Davide, data la protezione che avevano avuto sul principato ebraico di Narbonne. Ma c’era addirittura chi pensava che si considerassero eredi di sangue di Gesù, come i Merovingi.

Il papa Alessandro III comunque ne autorizzò la festa liturgica (oggi l1 maggio) e Innocenzo III approvò la regola dell’Ordine dei Guglielmiti ma Guglielmo santo non lo divenne mai, né lo avrebbe mai potuto diventare, anche se fu sempre trattato da tutti come tale.

Gugliemo X, il conte di Tolosa e di Aquitania, è indicato spesso anche ufficialmente come ‘Il Santo’, non si sa perché perché santo in vita non lo fu certamente. Era un grande guerriero, la cui forza era leggendaria, che poteva divorare il pasto di otto uomini per scommessa ed era sessualmente incontenibile. Insomma era proprio come era San Galgano prima di pentirsi.

Nacque a Tolosa nel 1099 e morì, ufficialmente, a Santiago di Compostela nel 1137.

Era il figlio di Guglielmo IX, detto il Trovatore (1071-1127) ed era padre di della famosissima Eleonora d’Aquitania, la donna più bella del suo tempo che dominò con la sua figura tutto il dodicesimo secolo.

Guglielmo X scomparve il venerdì santo del 1137 mentre si stava recando a Santiago di Compostela. Aveva infatti deciso di riappacificarsi con il Papato, convinto da San Bernardo, e di fare questo pellegrinaggio per penitenza (come il Guglielmo monaco eremita).

Prima di partire, forse in una sorte di premonizione, aveva organizzato il matrimonio di Eleonora con il delfino di Francia, Luigi, che fu celebrato il 25 luglio dello stesso anno.

Fu con questo matrimonio che nacque la Francia (dopo molte vicissitudini peraltro che videro protagonista proprio Eleonora).

Eleonora portò in dote il sud ovest del paese e Luigi il nord est.

Curiosamente l’1 agosto 1137, solo una settimana dopo il matrimonio del secolo, morì il Re, Luigi VI il Grosso.

Nell’arco di tre mesi Luigi ed Eleonora diventarono Re e Regina di Francia, di una nazione che prima non esisteva. Il mondo era cambiato per sempre.

Una serie di coincidenze davvero inquietanti a cui Guglielmo X e Luigi VI il Grosso non seppero o non vollero opporsi.

Luigi il Grosso morì per dissenteria (forse avvelenato) e fu sepolto a Saint Denis. Guglielmo era scomparso, ufficialmente morto anche lui per il disturbo del viaggiatore.

Eleonora, la sua figlia prediletta, sposò prima il re di Francia Luigi VII, con il quale partì per la seconda crociata, da cui ebbe due figlie Maria e Alice.

Poi fece annullare il matrimonio nel 1152 e sei settimane dopo sposò Enrico di Normandia, che due anni dopo divenne Re d’Inghilterra, con il nome di Enrico II d’Inghilterra. Dal Re d’Inghilterra ebbe otto figli tra cui Riccardo Cuor di Leone e Giovanni SenzaTerra.

La Regina d’Europa, Figlia di Re, Moglie di re, Madre di Re.

Ma questa è un’altra storia.

Che Guglielmo X avesse preferito scomparire per non fare la fine del suocero non è quindi un’ipotesi così peregrina. Il destino era segnato, così doveva essere, doveva nascere la Francia e Guglielmo non poteva certo opporsi. Facendosi eremita, seguendo le suggestioni di San Bernardo, avrebbe potuto trovare qualche anno di serenità e vedere come se la sarebbe cavata la sua figlia preferita come regina di Francia.

La sua corte di era stata la più raffinata d’Europa, lì si cantava e si ballava al suono dei liuti dei trovatori, lì si celebrava l’amore libero senza timori e senza pudori e, forse, le eresie più segrete. Ma, per fare un paragone moderno, era come danzare sulla tolda del Titanic, il suo mondo stava finendo per sempre, per motivi a cui non ci si poteva opporre.

Dove fuggire?

Fatti i suoi pellegrinaggi, dopo aver visto la sua degna erede, Eleonora, partecipare ad una crociata portandosi dietro poeti trovatori, nani e ballerine, dove poteva rifugiarsi con i suoi fedelissimi? In Italia, in una valle sperduta e marginale dello Stato della Chiesa, protetto oltre che dal Papa anche dai cistercensi di San Bernardo, garanti dell’accordo?

Scomparire dunque, come l’acqua di sorgente scompare nel fiume sotterraneo, ma destinata a riemergere più abbondante e potente di prima. Da quel momento in poi sarebbe stato necessario inventarsi una comunicazione esoterica, catacombale, per simboli. Sarebbe stato necessario reinventare dei miti tra i quali solo pochi potevano orientarsi, sarebbe stato necessario scrivere poemi arturiani, elogiare re mai esistiti, avventurosi cavalieri alla ricerca di un Graal, che nessuno sapeva cosa fosse, sarebbe stato necessario scomparire nel torrente sotterraneo della Storia, attraversare un ponte periglioso e nascondersi in un Montsegur, un Montsalvat o, in italiano, in un Montesiepi.

Solo così si sarebbero potuti mantenere i contatti con i propri simili, conservare le proprie storie, il proprio passato. Nessuno avrebbe capito, nessuno avrebbe sospettato.

Nacquero così i romanzi del Graal, il ciclo dei Cavalieri della Tavola Rotonda, delle dame e dei cavalieri romantici, proprio alla corte di Eleonora, a Poitiers, e di sua figlia Maria di Champagne.

Guglielmo era già morto quando nel 1170 sua figlia Eleonora e sua nipote Maria assoldarono Chretien de Troyes per dare inizio alla ghirlanda brillante dei racconti arturiani dell’amore cortese. Forse alcuni simboli tratti dalla sua ultima dimora italica potevano servire a ricordare il padre e il nonno ai posteri: una spada nella roccia, che lui aveva deposto volontariamente. Fine del guerriero pantagruelico capace divorare il pasto di otto persone per sfida, di rapire e stuprare a suo piacimento. Era tempo di pace. Salvo poi poter estrarre di nuovo quella spada, quando sarebbe venuto il momento. E solo uno dei nostri iniziati, Artù, saprà come estrarla.

I profani non dovevano intendere i segreti del Figlio della Vedova che dovrà affrontare un percorso periglioso per trovare il Graal, dovrà chiedere, fare domande anche se non sa leggere il libro che aveva davanti. Solo così potrà liberare il Re Pescatore dal maleficio. In fondo il cavaliere dovrà solo seguire il suo cavallo per ritrovarsi nel Tempio Circolare dove alcuni illuminati gli mostreranno la via. Come aveva fatto Galgano, quello vero.

Quando Alberto e Rinaldo trovarono, da bravi ‘trovatori’, un giovane cavaliere del luogo pronto ad essere guidato a Mont Salvat dal suo cavallo, ad abbandonare tutto per farsi eremita, come lui stesso Guglielmo aveva fatto, a piantare la sua spada nella roccia, ne dedussero che ne avrebbero fatto immediatamente un grande santo, un esempio da imitare.

I cistercensi avrebbero costruito in quella piccola valle sperduta nella remota Toscana, così vicina ai luoghi dove aveva dimorato Guglielmo il Grande, una grande abbazia, in contatto con le abbazie del nord dove si ricopiavano i libri, perché il grande fiume sotterraneo potesse poi riemergere nei tempi e nei modi opportuni.

Quel giovane si chiamava Galgano, un buon nome, come Gargano, dove da Monte Sant’Angelo Guglielmo X era partito per la Palestina protetto dall’Arcangelo Michele, il santo dei guerrieri. San Michele sarebbe stato il suo mentore e nessuno avrebbe potuto eccepire nulla. Galgano o Galvano sarebbe diventato un eroe del Graal nelle corti di sua figlia Eleonora.

Se poi i suoi miracoli non erano stati così importanti per giustificarne la fama (ma aiutava a fuggire chi doveva scomparire, come Guglielmo) o se in vita non avesse fatto o pensato proprio quello che loro avrebbero raccontato, non aveva importanza.

Aver piantato una spada nella roccia, ritirandosi dal mondo, era stata una buona idea, era un buon simbolo, che sarebbe venuto loro comodo.

Tutti avrebbero avuto rispetto per quel nome e finanziato i loro progetti perché era scritto ‘Galgano’, ma i potenti della Terra avrebbe letto ‘Guglielmo d’Aquitania’, il padre di Eleonora, la Regina d’Europa.

Approfondimenti
Un  testo reperibile, forse, solo in loco ma di grande interesse è A. Canestrelli. L’abbazia di San Galgano, Tellini Ed. Pistoia 1993, ristampa anastatica.
Per l’aura di mistero si veda M. Moiraghi. L’enigma di San Galgano[1], Ancora Ed. 2003.