
Petra, uno dei siti archeologici più famosi del mondo, era la capitale del Regno dei Nabatei, la città rosa scolpita nelle rocce della Giordania, che conobbe il suo massimo splendore dal II secolo a.c. al III secolo d.c., più o meno.
Da alcuni anni a questa parte arrivano notizie di sensazionali e disparate scoperte archeologiche, che però scompaiono ben presto nel nulla. Cosa sta succedendo?
Nel monumento più importante di Petra, il Tesoro del Faraone, il film di Steven Spielberg ‘Indiana Jones e l’ultima crociata’ collocava la galleria sotterranea in cui si conservava il Santo Graal, la coppa contenente il sangue di Cristo. Nonostante l’usuale approssimazione americana nelle ricostruzioni storiche, in questo caso il monumento sembra risalire, più o meno, proprio all’epoca di Cristo, il che ha reso il film particolarmente suggestivo. Il nome deriva da una leggenda dei beduini che vuole che sia stato costruito da un faraone che vi aveva fatto nascondere un tesoro (e quale tesoro migliore del Graal?).
Ma il mistero di Petra è Petra stessa. Più che una città sembrerebbe un cimitero perché di tombe ce ne sono migliaia e di abitazioni pochissime. Nelle ‘tombe’ si consumavano banchetti in speciali circostanze, il che le fa sembrare ‘tombe’ un po’ bizzarre, anche se esistono, ancora oggi, culture in cui il ricordo degli antenati si celebra a tavola.

Ma nel centro della città c’è un teatro da 4.000 posti, il che fa pensare che essa avesse, almeno all’epoca di Cristo, circa 30.000 abitanti. Dove vivevano?
Non si sa.
C’è chi ipotizza che, essendo i nabatei dei beduini, vivessero in tende, come oggi. Ma è arduo ipotizzare che un popolo nomade che vive nelle tende costruisca migliaia di tombe, grandi templi e teatri.
Inoltre Petra è oggi collocata in una zona molto arida, praticamente desertica. Petra in greco significa Pietra e il video lo dimostra.
Gli esperti dicono che non dovrebbero esserci state variazioni climatiche rilevanti dai tempi di Cristo in merito alle precipitazioni. Ma, se è così, dove prendevano l’acqua per rifornire così tanti abitanti? Si suole dire che avessero costruito enormi cisterne sotterranee, collegate tra loro da infinite gallerie (sono realmente esistenti e anche qui il film di Spielberg aveva colto nel segno) destinate a raccogliere l’acqua piovana.
I beduini erano, e sono ancora, poche migliaia e non sono certo famosi per essere abili costruttori. Perché dei nomadi beduini dovrebbero costruire enormi cavità sotterranee per rifornire di acqua 30.000 abitanti? Non se intuisce facilmente il motivo.
Ma il problema decisivo è che, purtroppo, i nabatei, che parlavano aramaico e avevano un alfabeto metà arabo e metà ebraico, scrivevano pochissimo, per cui non riusciamo a collocare nella storia con precisione gli avvenimenti.

Non sappiano quando Petra fu fondata, forse nel IV secolo a.c., forse prima (c’è chi dice anche prima del 1000 a.c.), forse dopo, perché le evidenze archeologiche partono solo dal II secolo a.c..
La costruzione del Tesoro viene attribuita, a volte, al Re nabateo Areta III (che ha regnato, sembra, tra il 90 e il 60 a.c.), a volte ad Areta IV (che ha regnato tra il 10 a.c. e il 40 d.c.), a volte ad altri.
I fortunati che hanno visitato Petra se ne saranno fatti una ragione: ogni guida racconta una storia diversa e la costruzione della tomba del Tesoro (che magari non è una tomba ma un tempio) viene fatta risalire a una data a piacere tra il II secolo a.c. ed il II secolo d.c..
Una nuova ipotesi, formulata degli autori, sulla funzione dell’edificio è che fosse un dazio, per i seguenti motivi:
1) è situato nell’unica entrata della città;
2) è situato nell’unico posto del siq (la gola che conduce a Petra) dove una rientranza a fondo chiuso, sulla sua destra, poteva permettere la sosta della carovaniere in attesa del disbrigo delle pratiche doganali e del pagamento del dovuto;
3) il suo nome tradizionale, il ‘Tesoro’, ben si presta ad indicare un luogo dove si riscuotevano e si detenevano i denari proveniente dai dazi;
4) sotto all’attuale livello vi sono delle tombe nabatee che sono state sotterrate. Pensare che l’entrata del Tesoro fosse rialzata, 5 metri al di sopra delle vecchie tombe, è una ipotesi difficile da sostenere. È più probabile che il livello della piazza fosse più o meno lo stesso di quello al tempo della sua costruzione anche perché il siq fu pavimentato in epoca romana (e ne restano ampie emergenze).
Gli edifici sepolti potrebbero avere avuto la stessa funzione o no ma, in epoca romana, essi furono molto probabilmente ricoperti per permettere la costruzione di un grande padiglione di entrata con funzioni erariali.
5) Last but non least, nella Piccola Petra, a pochi chilometri di distanza, si trova un grande edifizio, all’entrata del piccolo siq, anche se diverso esteticamente, con la funzione di riscuotere il dazio dalle carovane. Nella Grande Petra l’unico posto possibile dove collocare il dazio è proprio il luogo dove è collocato il ‘Tesoro’.
6) Se tutto ciò fosse confermato l’edifizio risalirebbe all’epoca della conquista romana e della pavimentazione del siq, cioè successivamente al 106 d.c.. Questo spiegherebbe la statuaria romaneggiante presente nelle nicchie (i dioscuri e le amazzoni ai lati e Iside al centro) che altrimenti striderebbe con le più austere rappresentazioni nabatee;
7) L’urna centrale poteva essere il contenitore del denaro versato dalle carovane, a conferma della tradizione beduina che proprio lì fosse conservato il tesoro;
8) Il ‘Monastero’, l’altro edificio molto simile al Tesoro, collocato su un’altra ipotetica entrata alla città tramite una scalinata, avrebbe potuto svolgere funzioni analoghe per gli accessi a piedi o con asini provenienti dal circondario.
Sebbene la nostra ipotesi ci sembri convincente e meritevole di più accurate conferme, si tratta pur sempre di illazioni.
Una curiosità, però abbastanza certa, è invece che Erode il Grande (vissuto tra 73 e il 4 a.c.) non era ebreo ma era figlio di una nabatea e trascorse proprio a Petra la sua infanzia.
Le testimonianze su Petra restano episodiche anche nella narrazione romana fino al grande terremoto che la distrusse nel 363 d.c. dopo di chè scomparvero quasi del tutto. Durante l’espansione araba (intorno al 650 d.c.), essa era già disabitata. Secoli dopo I crociati costruirono una fortezza in prossimità delle rovine, intorno al 1150, ma la dovettero abbandonare ben presto.
Insomma il mistero sulle origini e sulla storia di Petra regna ancora sovrano.

In questo stimolante scenario, nel giugno 2016, il Ministero del Turismo giordano annunciò che era stata fatta una clamorosa scoperta: un’enorme piattaforma pavimentata, circondata da colonne e da una grande scalinata, con un tempietto su un lato, a soli 800 metri dal centro della città.
Chi aveva fatto la scoperta?
Google Earth.
Google Earth costituisce un’enorme problema per gli archeologici perché scopre più cose di tutti gli esperti del mondo. E sono cose che non collimano mai con la storiografia ufficiale.
A tre anni di distanza dal clamoroso annuncio, gli scavi dell’imponente complesso non sono ancora cominciati, le guide locali si rifiutano di parlarne, e dell’enorme piattaforma non si hanno più notizie. L’ostracismo è totale, come rilevato anche dall’autore in un recente sopralluogo.
Ma qualcuno che ne sa di più si trova sempre. Il sito SiViaggia pubblicò all’inizio del 2017 la notizia che Valerio Massimo Manfredi, il grande scrittore di narrativa storica, era stato chiamato in Giordania per una consulenza su un’importantissima scoperta archeologica. Avrebbe guidato un team di 5 persone, nel maggio del 2017, per accertamenti.
Per i pochi che non conoscono Valerio Massimo Manfredi si può dire che è nato a Modena, si è laureato a Bologna in Lettere classiche, è professore universitario, giornalista, sceneggiatore, scrittore di grande successo ed è famoso per le frequenti apparizioni televisive (ha condotto, tra l’altro, il programma Stargate – Linea di confine su La7).
I suoi romanzi storici hanno venduto milioni di copie. Il suo ultimo libro (Antica madre, Mondadori, 2019) è ambientato nella Roma di Nerone e racconta di una spedizione alla ricerca delle sorgenti del Nilo. I suoi romanzi più famosi sono quelli su Alessandro Magno, su Ulisse e sull’antica Roma (qui e qui).
Nella sua biografia ufficiale però non viene citato un piccolo libretto di scarsa reperibilità, scritto in gioventù: Petra e le città morte della Siria’ De Agostini, 1983. Che sia per questa opera che la Giordania ha chiamato proprio lui?
In ogni caso, da allora, Manfredi non ha più rilasciato dichiarazioni in merito.

Il fatto è che di misteri archeologici in Giordania ne esistono a bizzeffe e non si sa da che parte orientarsi.
Che Manfredi sia stato chiamato per occuparsi delle Ruote del deserto?
Ne esistono circa 2000, sparse per i deserti siriano, giordano e arabico (vedi foto). Sono state avvistate per la prima volta dopo la guerra da piloti militari, perché da terra sono quasi invisibili, ma oggi, a causa del conturbante Google Earth e dei droni, siamo sommersi di fotografie. Le ruote più interessanti sembrano essere proprio nella zone di Petra.
Cosa rappresentano? Nessuno lo sa e nessuno sa come siano state costruite. Sono simili, per certi versi, alle linee di Nazca ma sembrano essere molto più antiche (secondo le analisi OSL, Optically Stimulated Luminescence risalgono al 6500 a.c.). I beduini dicono che sono opera dei ‘Vecchi Uomini’.
Sarà questa la sensazionale scoperta del secolo di cui si occupa Manfredi?

Forse, ma le misteriosi formazioni artificiali collocate nel deserto non finiscono qui. Vi si trovano anche i Cerchi.
Il ricercatore australiano David Kennedy ha fotografato ben 12 Cerchi nel deserto giordano tramite i droni. I cerchi, che sono strutture di pietra che hanno tutti 400 metri di diametro e non avevano in origine aperture, non sono abitazioni, non sono elementi di difesa, non sono neppure recinti per bestiame (perché sono troppo bassi) e non sembrano avere avuto nessuna utilità pratica. Così come le linee di Nazca, sembrano solo segnali per Google Earths o per chi arrivi dallo spazio.

Ma la struttura giordana più impressionante è forse il Khatt Shebib, il Muro, alto neanche un metro, costruito nel deserto a est di Petra e lungo 150 km (vedi foto).
E’ la struttura più lunga al mondo dopo la Grande Muraglia.
È troppo basso per avere funzioni difensive e non può neppure servire a confinare animali. Forse poteva essere una sorta di confine. Ma chi poteva essere interessato a costruire un muro di 150 km in pieno deserto per delimitare un confine?
Forse quegli stessi beduini che dormivano nelle tende di Petra, dopo essersi recati a teatro e aver banchettato, in modo luculliano, sulle tombe degli antenati? Mah.


Ma i misteri non finiscono qui. Nel 2015 una troupe di archeologi americana aveva sostenuto di aver scoperto la città biblica di Sodoma, 14 km a Nord est del Mar Morto. Non si sa se fosse Sodoma o Gomorra ma, di sicuro, avevano trovato un sito ‘monstre’: 40 ettari di città circondati da un muro alto 10 metri e spesso 5. Non se ne è saputo più nulla.
A fine 2017 arrivò l’annuncio che una spedizione italiana dell’università della Sapienza di Roma, diretta da Lorenzo Nigro, aveva scoperto una città carovaniera vicino ad Amman, Betrawy. Quello che si sa di questa città è ben illustrato da Nigro nel video. Sembrerebbe tutto normale ma non lo è. Quei muri così ben costruiti sembrano essere contemporanei alle Piramidi e cioè risalire al 2500 a.c.
Nigro è anche autore di un libro su Gerico, la più antica città del mondo, assolutamente imperdibile (da comprare qui). Gerico è in Cisgiordania, oggi territorio occupato da Israele.
Da ultimo non si può non segnalare un video sconvolgente, pubblicato su youtube, che rappresenterebbe il contenuto di una tomba, scoperta di recente in una proprietà privata a Ajloun, a 70 km da Amman, e che potrebbe essere la tomba di Alessandro Magno. Il video è troppo incredibile per essere attendibile ma potrebbe dirci qualcosa di più su cosa sta bollendo in pentola in Giordania.
La Storia Segreta di Petra e della Giordania non è finita, è appena cominciata.