I numeri delle terapie intensive e dei morti Covid proprio non tornano

Rilanciamo e commentiamo l’articolo di Rossi-Saibene pubblicato da Mittdolcino: Adesso i “no-data” vogliono oscurare le prove che la sanità ha fallito (i numeri delle terapie intensive proprio non tornano).
Su questo blog abbiamo più volte denunciato che i numeri ufficiali della pandemia non tornavano, sia per i bias (traduzione: distorsione faziosa) che vi erano inseriti volutamente (come ad esempio il fatto che nella colonna ‘Non Vaccinati’ delle tabelle dell’Istituto Superiore di Sanità vi sono oltre 1 milione di ‘Vaccinati’, da meno di 14 gg.) sia per la scarsa ‘accuratezza’ nel reprimento delle statistiche di base (ad esempio si veda qui e qui).
Dal sito Mittdolcino viene oggi una autorevole conferma delle nostre tesi: Rossi e Saibene, utilizzando una base dati diversa dalla nostra, arrivano alle stesse conclusioni: ci sono una grande quantità di morti per Covid che non si sa dove muoiono. Non nelle terapie intensive che sono quasi vuote. Sono veri questi morti? Sono pazienti (sono soprattutto vaccinati) che muoiono a casa e che non sono quindi curati adeguatamente? O non muoiono di Covid ma di qualcosa d’altro, magari di vaccino?
Il problema è che, quando si cominciano a truccare i dati, poi è difficile renderli congruenti. Da qui nasce un novello tentativo di raggirare l’opinione pubblica: è nato il Movimento No-data che sostiene che non si deve più pubblicare niente.
Si tratta di un tentativo gravissimo e che va pubblicamente denunciato. 

I numeri delle terapie intensive sono inconsistenti, forse utili solo per giustificare un’emergenza ormai inesistente. Intanto la pandemia di fatto è finita: Berna annuncia l’imminente soppressione della quarantena. I Grigioni svizzeri ieri hanno reso pubbliche previsioni sui casi attesi di COVID nel post Omicron, in nessun caso le Terapie Intensive andrebbero in crisi nei prossimi mesi. E la Svizzera romanda toglie le mascherine per i bambini a scuola. L’Italia resterà l’ultima dei liberticidi pro- Green Pass in EUropa? Per quale ragione, nel caso?

Dopo i no-TAV, i no-Vax e i no-Pass adesso un nuovo gruppo negazionista entra nel dibattito politico e giornalistico: il movimento dei no-data, lanciato da popolari virologi e subito sostenuto da certa stampa ostinatamente filogovernativa, che propone di non pubblicare più i dati della pandemia, limitandone la conoscenza e l’interpretazione ai soli sapienti omologati, quelli che ai tempi di Roma Antica si chiamavano aruspici e auguri.

Tanti auguri, appunto, alla libertà di informazione, alla trasparenza, e a quel che rimane dello stato di diritto e della repubblica democratica, tutti concetti desueti, non più ritenuti basilari proprio da quelli che ne hanno sempre fatto un vanto, quando non li hanno usati come una clava contro fantomatici nemici politici, e infatti il 13 gennaio “la Repubblica” pubblica nella sua versione online le statistiche giornaliere sul Covid solo 5 ore dopo la loro uscita e solo in un piccolo box: una prova generale, insomma.

Ma questi movimenti di opinione di questi tempi non sono mai casuali, ma quasi sempre dettati da un bisogno di chi governa o vuole governare l’opinione pubblica normalmente a scopi di distrazione di massa.

E infatti se prendiamo i dati giornalieri finora pubblicati dalla Protezione Civile (per chi non si fida https://github.com/pcm-dpc/COVID-19/tree/master/dati-andamento-nazionale), facendo uso di sofisticate tecniche di calcolo in possesso esclusivamente a coloro che abbiano passato l’esame di quinta elementare, come addizioni e sottrazioni, possiamo evidenziare come questi dati, pur essendo dati ufficiali del Governo, dimostrino che qualcosa nella sanità nazionale impegnata nella lotta contro il Covid non sta funzionando come servirebbe.

Ovviamente i soliti aggressivi difensori della verità ufficiale ci accuseranno presto di non essere degli scienziati, e ancora meno dei virologi, degli epidemiologi, o degli esperti di sanità pubblica, tutte cose verissime, ma la logica e l’artimetica non ce l’hanno solo loro, e i numeri, ahi per loro, hanno la testa dura.

Noi, nel nostro piccolo, costruiamo un bella tabella con i dati giornalieri dei posti letto in Terapia Intensiva occupati dai malati Covid, i dati di variazione giornaliera di tale occupazione, i dati di ingressi giornalieri in Terapia intensiva e infine i dati dei decessi giornalieri di Covid (tutti per il periodo dal 23 dicembre al 13 gennaio) , con facilissime operazioni di sottrazione e addizione ricaviamo il numero di persone uscite giornalmente dalla Terapia Intensiva e scopriamo che tale numero nella media del periodo è circa la metà di quello dei morti dichiarati di Covid.

Il problemino da quinta elementare ci dice così che almeno la metà dei morti di Covid di questo periodo non è morta in Terapia Intensiva, e questo nel caso non auspicabile quanto improbabile che tutti quelli che sono usciti dalla terapia intensiva ne siano usciti da morti e non da guariti o perlomeno migliorati al punto da essere ritrasferiti in reparti meno attrezzati. Che se invece gli usciti dalla Terapia Intensiva, come sembrerebbe dalle dichiarazioni televisive di tanti scienziati, fossero usciti vivi, allora il numero dei morti non passati negli ospedali sarebbe ancora più alto.

Ma questo vorrebbe dire anche che la Terapia Intensiva servirebbe solo come Hospice, che tanto nessuno ne esce vivo, e a quel punto sarebbe del tutto inutile lamentare una crescente scarsità di posti, peraltro dichiarati occupati dai malati Covid per una quota del 15%, che altrimenti andremmo tutti in Zona Rossa mentre invece siamo al massimo in Zona Gialla. E vorrebbe pure dire che la medicina ufficiale non è ancora in alcun modo in grado di affrontare la malattia, nemmeno nei più attrezzati ospedali.

Sono sbagliate le statistiche, o c’è un sacco di gente che muore nel suo letto? Perchè non vengono ricoverati in ospedale? A noi sembrerebbe un dato significativo di un problema da affrontare, perchè se l’ospedale serve per guarire il Covid, una sanità pubblica seria dovrebbe provvedere a ricoverare tutti i cittadini malati, visto che i letti sembrerebbero esserci, mentre se il ricovero ospedaliero proprio non serve a curarli, allora tanto meno servirebbe allarmarsi tanto per la crescente occupazione dei posti letto ospedalieri.

Purtroppo nelle solerti statistiche fornite dal Governo non riusciamo a trovare un dato che ci dica quanti sono usciti vivi dalla Terapia intensiva e quanti invece vi sono morti, al massimo troviamo un grafico dell’Istituto Superiore di Sanita intitolato “Andamento della durata del ricovero prima del decesso” ma senza che si specifichi in alcun luogo di quale tipo di ricoveri si tratti (sempre per chi non si fida https://covid19.infn.it/iss/) e dal quale trascinando faticosamente il mouse sul grafico si evince che nel periodo successivo al 22 dicembre e fino al 9 gennaio nessuno è morto dopo il 20-esimo giorno di ricovero (apparentemente anche nei reparti Covid, non solo in Terapia Intensiva), mentre la distribuzione dei morti giornalieri per durata del ricovero ci mostra una curva che tende velocemente verso il basso sia per numero di decessi che per durata del ricovero prima del decesso. Ad esempio il giorno 6 gennaio in ospedale sarebbero morte solo 20 persone tutte entro il quinto giorno di ricovero, il giorno 7 gennaio solo 22 entro il terzo giorno di ricovero, il giorno 8 risultano addirittura solo 4 morti entro il secondo giorno di ricovero, mentre il giorno 9 gennaio (ultimo giorno disponibile su tale grafico) i morti in ospedale sarebbero stati solo 5 e tutti entro i due giorni dal ricovero. Solo in questi quattro giorni 51 decessi registrati contro i 762 decessi Covid dichiarati ufficialmente ai quattro venti per gli stessi giorni . . . dove sono morti gli altri 711 sfortunati clienti del Servizio Sanitario Nazionale?

L’unica spiegazione ragionevole e non complottista sarebbe che i morti non censiti come morti negli ospedali, almeno nell’ultimo grafico, siano in realtà persone già ricoverate da molto tempo nelle RSA e pertanto non censiti nelle statistiche ospedaliere, ma questo significherebbe che dopo quasi due anni e molti miliardi di euro spesi dal Governo direttamente nella sanità pubblica, le RSA continuano a fare una strage con una quota di almeno il 50% dei decessi complessivi, cosa che sembrerebbe smentita dalle statistiche che dicono che muoiono solo i non vaccinati, o ci siamo dimenticati di vaccinare gli ospiti delle RSA?

Esiste ovviamente anche la possibilità che tali statistiche siano del tutto sballate in modo altrettanto casuale per via della incompetenza di chi le prepara, ma questo non ridurrebbe le responsabilità di certi presunti quanto presuntuosi scienziati, anzi renderebbe perlomeno risibile la loro affidabilità, ma questa è solo la spiegazione meno offensiva del perchè molti di loro vogliono rendere indisponibili i dati al pubblico, quello che loro ritengono di essere pieno di “terrapiattisti no-vax”, mentre lanciano continui appelli alla caccia alle streghe.

A pensar male, diceva Andreotti, si fa peccato, ma spesso . . .

E infine andrebbe soppesato il costo delle operazioni di “emergenza”. Dal Bilancio dello Stato relativo all’anno 2020, presentato a firma di Mario Draghi e Daniele Franco, il sistema sanitario italiano ha speso 7,7 miliardi in più rispetto al 2019, quando la spesa era stata di 115 miliardi di euro. Nel 2020 per fronteggiare il Covid-19, lo Stato italiano ha portato la spesa sanitaria al 7,4% del Pil Italiano, mentre i trend del decennio precedente erano stabili al 8,6% e quando il pil prodotto dal settore privato era più alto.

Gli ammortizzatori sociali sono costati in totale 400 miliardi di euro, in aumento rispetto al 2019 di oltre 31 miliardi di euro in prestazioni sociali in denaro per non lasciare senza reddito i lavoratori bloccati dal virus, cui si aggiungono oltre 7 miliardi di euro in aumento per garantire i prepensionamenti. Tali spese restano a budget anche per tutto il 2021 e il 2022.

Gli aiuti alle imprese hanno inciso per 10 miliardi di euro a fronte di una perdita di gettito di 55 miliardi di euro che si somma ai costi della pandemia.

Pur considerando che non ci sono voci specifiche in merito e che non è stato pubblicato un documento di sintesi, in totale sono stati spesi 49 miliardi di euro, oltre a 62 miliardi tra mancati incassi tributari e spese in aumento per le pensioni dell’INPS.

Per il 2021 un ulteriore dato allarmante viene pubblicato dall’associazione Libera, in quanto sono stati concessi nuovi appalti ad operatori privati per ben 14 miliardi di euro di cui nel 61% dei casi non si conoscono i dati sugli appaltatori in quanto mai pubblicati dalle pubbliche amministrazioni.

Insomma, si tratta di una drammatica virata dalle politiche di public management in essere da trent’anni per ridurre il peso del sistema sanitario e sociale. I posti letto dagli anni novanta ad oggi sono calati di oltre la metà per l’efficienza e la sostenibilità del sistema. Gli ospedali sono calati del 10% negli ultimi 5 anni, e i posti letto a una media del 2% annuo. Mentre la spesa sanitaria era aumentata del 5% annuo fino alla fine del 2019.

In Italia oggi abbiamo 18 ospedali ogni milione di persone, con 3 posti letto ogni mille abitanti, dei quali quasi tutti attrezzati per la terapia intensiva, supportati da 11 tra dottori e infermieri.

Si può fare un confronto con i principali Paesi del mondo a inizio 2020. In Giappone per esempio ci sono 66 ospedali ogni milione di persone, con 13 posti letto ogni mille persone, 15 persone tra dottori e infermieri che seguono i pazienti. In Germania ci sono 37 ospedali ogni milione di persone, con 8 posti letto ogni mille persone di cui 6 attrezzati per la terapia intensiva, 22 persone compongono il personale sanitario. In Svezia ci sono 2 posti letto entrambi attrezzati per la terapia intensiva ogni mille persone e 16 tra dottori e infermieri. In Inghilterra 29 ospedali ogni milione di persone con poco più di due letti ogni mille persone come in Svezia, ma i dottori di famiglia del sistema sanitario inglese non ricevono più pazienti in studio e li curano solo per telefono. Per un appuntamento o visita in ospedale possono passare anche due settimane, ma molte medicine si comprano al supermercato per pochi centesimi in stile fai-da-te. Negli Stati Uniti, con meno del 40% della popolazione che possa accedere a servizi sanitari completi, ci sono 19 ospedali ogni milione di abitanti, con 3 posti letto ogni 1000 abitanti, assistiti da 15 tra dottori e infermieri.

Trarre una conclusione sull’efficienza dei sistemi sanitari dei sistemi occidentali è molto complesso, perché incidono anche i climi e l’aspetto demografico della popolazione. L’Italia ha preventivato nel Bilancio dello Stato di ridurre la spesa sanitaria di “emergenza” quando e se lo stato di paura fomentato da televisione e Covid-19 sarà terminato, ma questa sarà una possibile scelta di chi governerà il Paese negli anni a venire.

Inoltre le differenze territoriali in Italia sono marcate ed evidenti a tutti, non solo per la disponibilità di lavoro. E’ infatti risaputo che pochissimi si curano negli ospedali del sud, che pur essendoci numerose strutture sulla carta, una buona parte dei reparti non è operativa nonostante investimenti e macchinari, quindi non producono livelli di qualità del servizio, della cura, della guarigione dei pazienti pari a quelli del nord. Alcune strutture sono vere e proprie cattedrali nel deserto.

Al di la delle considerazioni sulla privatizzazione del sistema sanitario e sociale, di fronte a questo breve sommario qualcuno ha studiato le enormi risorse messe in campo per l’”emergenza” sia per l’impatto che hanno avuto in termini operativi sia per misurarne la sostenibilità economica?

In prospettiva futura, con l’arrivo di prestiti dalla Società Finanziaria Lussemburghese MES (ESM in inglese) tramite le garanzie dei Paesi del Nord Europa, per cui si stima un valore compreso tra 169 e 222 miliardi di euro nei prossimi 5 anni, ci auguriamo che nessun politico abbia l’acquolina in bocca come un branco di iene vicino alla carcassa di una giraffa nella savana.

Carloalberto Rossi e Giorgio Saibene

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2 pensieri riguardo “I numeri delle terapie intensive e dei morti Covid proprio non tornano”

  1. I dati di mortalità non sono più quelli di una volta, sembra una battuta ma in realtà il dato che indicava la causa più probabile del decesso nelle schede mod. D4 ISTAT ha subito una modifica nel principio di attribuzione fin da aprile 2020 su indicazione dell’OMS. Se fosse rimasto il precedente criterio di attribuzione, molto probabilmente i decessi non sarebbero stati sufficienti a giustificare l’emergenza fantapandemica e di conseguenza i contratti di fornitura dei finti vaccini…
    Le indicazioni ai link della documentazione “ufficiale” li trovate nella descrizione di questo specchietto:
    https://www.facebook.com/antonio.desandoli.7/posts/10222326667509860

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