Storia segreta: Bologna, città ‘templare’

Avvertenza: il termine ‘templare’ sarà qui usato in senso lato per indicare gli Ordini, gerolosomitani e non, contigui all’Ordine Templare vero e proprio.

A meta del secolo XIII Bologna era la città più grande dell’Europa occidentale, insieme a Parigi. Entrambe avevano 50.000 abitanti mentre Roma ne aveva solo 25.000. Bologna e Parigi brillavano per le loro Università dove, nella prima, si studiavano soprattutto diritto e medicina, nella seconda teologia e filosofia.

Tra il 1130 e il 1150 Templari e Ospitalieri cominciarono a stabilirsi nelle città della Pianura Padana e cominciò la gloriosa stagione dell’autonomia dei Comuni Italiani, autonomia che nacque come ribellione guelfa, cioè a favore del Papato, contro il giogo degli imperatori germanici e delle famiglie locali di fede ghibellina.

Intorno alla metà del secolo XIII erano attivi a Bologna:

– i Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis (i Cavalieri Templari), nella loro sede di Strada Maggiore, tra vicolo Malgrado e via Torleone;
– i Cavalieri di Malta (Milites Ordo Hospitalarius Sanctis Ioannis), che avevano sede in pieno centro tra via D’Azeglio e San Petronio. La chiesa di San Petronio non esisteva ancora e per costruirla furono espropriati molti edifici degli Ospitalieri;
– i Cavalieri del Santo Sepolcro (Milites Sancti Sepulcri), che gravitavano allora come oggi su Santo Stefano;
– i Cavalieri Teutonici (Ordo Frates Domus Hospitalis Sanctae Mariae Teutonicorum), fuori porta, in via Mazzini, dove oggi c’è la Chiesa degli Alemanni.

A causa della voluta confusione che si usa fare a fini censori, è necessaria una breve disamina dei principali Ordini para-templari presenti a Bologna.

I Cavalieri del Santo Sepolcro erano l’Ordine più antico fondato addirittura nel 1099 da Goffredo di Buglione, subito dopo la conquista di Gerusalemme. Goffredo si rese immediatamente conto che era necessario un servizio d’ordine nei Luoghi Santi che ne impedisse il saccheggio e fondò subito i Milites Sancti Sepulcri, noti come ‘Soldati del Santo Sepolcro’. La parola latina presente nei nomi originari degli Ordini è sempre ‘miles’ che significa soldato e non ‘cavaliere’ (in latino ‘eques’) che ne costituiva solo la punta di diamante.
In origine l’Ordine del Santo Sepolcro era costituito da due tipologie di membri rigorosamente separati, i frati, che non potevano indossare armi o combattere, e i militi che invece provvedevano al servizio d’ordine. I Cavalieri del Santo Sepolcro diventarono presto un Ordine cerimoniale, non più alle dipendenze del Re di Gerusalemme ma del Papa. A Bologna possiamo ancora vederli al seguito della Madonna di San Luca e in una cerimonia ormai quasi dimenticata, la Ricognizione, nella Chiesa di Santo Stefano. Il loro stemma è una croce rossa con 4 piccole croci negli angoli.

Il secondo Ordine a nascere fu quello dei Cavalieri di San Giovanni, o Ospitalieri (Ordo Hospitalarius Sanctis Ioannis), intorno al 1113 il cui compito, in origine, era quello di ospitare i pellegrini in opportune strutture dette ‘ospitali’, ma che in realtà erano ostelli che non avevano un uso sanitario prioritario. Il suo fondatore nonché primo Gran Maestro fu il frate Gerardo Sasso di Amalfi che infatti adottò la croce di Amalfi come simbolo dell’Ordine Giovannita.
Solo nei decenni successivi l’Ordine assunse caratteristiche militari, a imitazione dei Templari. Esso fu conosciuto anche con il nome di
Cavalieri di Rodi prima e di Cavalieri di Malta poi, quando Rodi fu conquistata dai turchi nel 1522. La sua presenza in mezzo al Mediterraneo fu decisiva per impedire agli eserciti turchi di dilagare e la vittoria nella Battaglia di Lepanto nel 1571 fu in gran parte merito dei Cavalieri di Malta.
L’Ordine esiste ancora oggi e ha sede a Roma, dopo la conquista di Malta da parte di Napoleone, con caratteristiche simili a quelle di uno stato sovrano (i suoi membri possono avere un passaporto diplomatico) ed è alle dirette dipendenze del Papa.
I Cavalieri di Malta possono essere considerati gli eredi diretti dei Templari perché, secondo l’indicazione papale, i terreni agricoli e gli immobili nonché gran parte dei templari sopravvissuti dopo la fine del loro Ordine passarono proprio ai Giovanniti.
Essi si riuniscono ancora nell’Oratorio di Santo Spirito, in via Val d’Aposa, nel quartiere intorno a via D’Azeglio che fu loro fin dal XII secolo e conservano una importante presenza in città.
Il più famoso Cavaliere odierno è stato senza dubbio Lucio Dalla, che infatti si stabilì con la sua casa-museo proprio in via D’Azeglio, accanto alla Corte dei Galluzzi e alla Torre di Catalani, nel cuore della città guelfa e ospitaliera.

A differenza di quello che si può pensare, l’Ordine templare arrivò solo terzo. Nacque intorno al 1120 ma fu riconosciuto solo nel 1129 nel Concilio di Troyes quando San Bernardo ne scrisse la regola. I Templari non erano ‘monaci-guerrieri’ come spesso si sente dire ma bensì ‘guerrieri-monaci’.
In primis cioè erano guerrieri, perché proprio di guerrieri c’era bisogno in Terrasanta.
Ma i nobili cavalieri medioevali tendevano a essere rissosi, superbi, anarchici e quindi, per entrare nell’Ordine, dovevano essere disposti ad accettare una certa disciplina. Dovevano cioè prendere tre voti: obbedienza (ovviamente, altrimenti sarebbe stato il caos), castità (per evitare che la guerra si trasformasse in uno stupro di massa) e, strategicamente, povertà. L’Ordine doveva essere ricco ma il singolo cavaliere no. In questo modo non si poteva tornare indietro, se non finendo in povertà. Non c’è nulla di stupefacente in tutto ciò. Anche oggi chi vuole entrare nella massoneria deve pronunciare un giuramento di obbedienza (ben per più cruento di quello templare) e di riservatezza.
L’Ordine fu sciolto in via amministrativa da Papa Clemente V nel 1312 e mai più ricostituito. Sigle più o meno recenti che ne richiamano il nome non hanno fondamento storico.
A Bologna la loro Magione aveva sede in Strada Maggiore, tra vicolo Malgrado e via Torleone ma purtroppo il complesso, dopo molte vicissitudini, è stato completamente distrutto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
È interessante notare però che Strada Maggiore ha conservato la sua importanza ‘politica’. Gli uffici e i centri studi di Andreatta (Prometeia) e di Prodi (Nomisma) nonché la loro Casa Editrice (Il Mulino) avevano sede in Strada Maggiore. Forse non è solo una bizzarria della Storia che Andreatta abitasse in via Santo Stefano (Santo Stefano è la Gerusalemme bolognese, costruita ad immagine del Santo Sepolcro) e che Prodi abiti da sempre, appunto, in via Gerusalemme. E che entrambi erano democristiani, cioè indubitamente ‘guelfi’.

I Teutonici furono l’ultimo Ordine ad essere approvato nel 1191 ed ebbero un ruolo marginale in Terrasanta ma furono decisivi per le sorti dell’Europa. Dopo la perdita di Acri si stabilirono sulle coste baltiche e fondarono un vero e proprio Stato, la Prussia, operando un’opera di cristianizzazione delle genti lituane e lettoni, ancora pagane. Nel 1525 il Gran Maestro dell’Ordine, Alberto di Hohenzollern, divenne protestante e si autoproclamò Duca di Prussia. Proprio dalla espansione territoriale della dinastia prussiana degli Hohenzollern, eredi dell’ultimo Gran Maestro teutonico, nacque la Germania moderna. L’area originaria di insediamento dei Teutonici era nell’area di Danzica (oggi polacca) e Koenisberg (città di Kant, oggi enclave sovietica di Kalinigrad). Fu proprio il contenzioso per Danzica tra Polonia e Germania a dare origine alla Seconda Guerra Mondiale, a riprova che per capire cosa succede oggi nel mondo è bene conoscere i fatti del passato anche remoto. I Teutonici erano formalmente sottoposti al Papa come gli altri Ordini ma in realtà il loro legame con l’Imperatore tedesco era forte.
A Bologna i Teutonici erano presenti nell’attuale via Mazzini dove vi è la Chiesa degli Alemanni ma ebbero sempre un ruolo marginale perché sospetti in quanto contigui all’imperatore tedesco.

I primi Cavalieri ad arrivare in città furono probabilmente i Cavalieri del Santo Sepolcro e i Templari intorno al 1150 seguiti a ruota dagli Ospitalieri nel 1157. Per ultimi arrivano i Teutonici nel 1221.

Oltre agli Ordini gerolosomitani erano presenti in città anche formazioni para-templari, le Società d’Arme, come quella dei Toschi, formata da toscani e guidata dalla omonima famiglia (stanziata dove oggi c’è la Torre dei Toschi, dietro al Galleria Cavour) e la storica Società dei Lombardi, che esiste tutt’ora, nella sua sede storica all’interno della Chiesa di santo Stefano, fondata nel 1170.

Ultimi ma non ultimi è necessario ricordare i Cavalieri Gaudenti, riconosciuti nel 1261, che avevano come stemma la croce templare con due stelle a sei punte e che saranno oggetto di un prossimo articolo ad hoc per la loro importanza.

Tutte questi odrini e compagnie erano rigorosamente ‘guelfi’, cioè dalla parte del Papato, almeno fino al tradimento del 1312. Per sovrappiù Bologna ospitava anche le sedi dei due Ordini di mendicanti, i predicatori domenicani, nel convento di San Domenico, dove era addirittura sepolto il fondatore dell’Ordine, San Domenico Guzman, morto a Bologna nel 1221, e i minori di San Francesco d’Assisi che stavano costruendo la loro magnifica chiesa (dal 1236 al 1263) con convento annesso.

Bisogna rammentare che Templari, Ospitalieri e Ordini locali similari furono il braccio armato del Papato che aveva sfruttato le crociate per creare delle entità militari direttamente dipendenti da Roma e che sostennero l’autonomia della Santa Sede lealmente, almeno fino alla morte di Bonifacio VIII nel 1303.

La Storia non è narrata usualmente in questi termini a causa della damnatio memoriae subita da tutto ciò che ha una vaga memoria templare, dopo l’abolizione dell’Ordine nel 1312, ma la contiguità tra il fenomeno guelfo e la presenza templare e ospitaliera in Italia è un fatto inoppugnabile.

Con questo poderoso schieramento la città di Bologna doveva comunque schierarsi dalla parte del Papato.

In teoria l’Italia avrebbe fatto parte dell’impero germanico anche se il nonno paterno di Federico II, Federico Barbarossa, anche lui Imperatore, aveva avuto serie difficoltà nel trattare con i comuni italiani. Nel 1162 aveva raso al suolo Milano, mentre Bologna ne era uscita con la sola demolizione delle mura, ma nel 1176 era stato sconfitto a Legnano dalle truppe della Lega Lombarda, che ostentavano orgogliose le croci templari delle città di Bologna e Milano riportate direttamente da Gerusalemme.

Il comune di Bologna in verità era nato ghibellino. I nobili del contado, di matrice longobarda e infeudati dall’Imperatore del Sacro Romano Impero avevano iniziato a trasferirsi in città dopo l’anno 1000 dando inizio all’epoca delle torri, che, in qualche modo, riproponeva in città il modello feudale dei castelli e dei clan. Non essendoci in città spazi orizzontali, per dimostrare la propria potenza, ci si espandeva in verticale. Nacquero così la torre degli Asinelli e la Garisenda, poco dopo il 1100. Le torri erano quindi, agli esordi, un fenomeno strettamente ghibellino.

La prima tornata di costruzione delle torri ebbe termine poco dopo il 1150 ma, quasi un secolo dopo, ebbe una ripresa questa volta con la costruzione di torri abitabili, le case-torri, che avevano mura molto più sottili ed erano più basse e tozze. A differenza delle prime, che erano costruite da famiglie di schiatta imperiale, cioè ghibellina, erano costruite in maggioranza da famiglie guelfe.
Si trattava di famiglie ‘nuove’, espressione della nuova economia mercantile e ‘templare’ che diedero origine al Comune di Popolo nel 1228. Iniziò una lotta feroce tra clan magnatizi, espressione del contado e ghibelline, e i clan di banchieri, mercati, professori universitari, autodefinitiresi ‘Popolo’, schierati con il Papato.
La feroce lotta tra guelfi e ghibellini, che in questa forma durò fino al 1300, aveva quindi alla base non solo una forte motivazione ideologica ma anche una economica altrettanto forte.

Nel 1249 l’esercito dell’Imperatore tedesco che si era mosso contro la città di Bologna subì una decisiva sconfitta. L’esercito bolognese, forte di un migliaio di cavalieri pesanti, gerosolomitani e non, sconfisse l’esercito imperiale a Fossalta, alle porte di Modena, e prese prigioniero addirittura Re Enzo, il figlio dell’Imperatore Federico II e suo erede.
Re Enzo rimase prigioniero a Bologna, nel palazzo che porta il suo nome, fino alla morte nel 1272.
Fu di fatto la fine della potenza imperiale nella Pianura Padana. Federico II morirà l’anno successivo e l’altro suo figlio Manfredi si guardò bene da attaccare la città. Morirà poi nella battaglia di Benevento contro Carlo d’Angiò nel 1266.
Lo stesso Corradino di Svezia, quando discese in Italia per riprendere il possesso del suo impero italiano, pensò bene di evitare Bologna (dove Re Enzo era ancora tenuto prigioniero) e si diresse verso Roma. Morì a Napoli, decapitato da Carlo d’Angiò, nel 1268. Re Enzo, dalla sua prigionia bolognese vide cioè la fine delle pretese dell’impero germanico sull’Italia.

Il Papato aveva vinto contro gli imperatori tedeschi e i guelfi-templari della Longobardia erano stati decisivi. Ma il prezzo da pagare era stato elevato perché adesso erano i francesi angioini a farla da padrone in Italia. L’ultimo papa ‘templare’, Bonifacio VIII, morì nel 1303 dopodiché il Papato fu trasferito ad Avignone.
Fu in quel momento i guelfi-templari italiani subirono il tradimento del Papato, che non fu mai perdonato e mai dimenticato.
Clemente V (1305-1314), prigioniero nel sud della Francia o quasi, appoggiò il re francese Filippo IV il Bello nella sua lotta contro i Templari e nel 1312 sciolse l’Ordine, insistendo per avviare processi contro i Cavalieri in tutta Europa. Da qui in poi la contrapposizione guelfi-ghibellini perse ogni significatività.
La storiografia ufficiale si mostra sempre stupita della perdita del significato della parola ‘guelfo’ proprio perché ignora l’origine templare dei guelfi.
Chi si provi a comprendere le giravolte delle città comunali negli anni successivi al 1300 non potrà non concordare. Lo stesso padre della lingua italiana, Dante Alighieri, detto dal Foscolo ‘il ghibellin fuggiasco’ era in realtà, come tutta la sua famiglia, guelfo.
Guelfo bianco certo, che si poneva contro i guelfi neri che si erano appiattiti sulle posizioni di un Papa avignonese servo dei francesi, ma comunque guelfo in quanto ‘templare’.

I Guelfi-Templari e le varie potenze italiane vedranno, da quel momento in poi, la fedeltà all’Imperatore o al Papa solo come un mezzo per mantenere il proprio potere locale ma non più come una scelta di campo esistenziale.
La potente Italia templare al servizio del Papato, in grado addirittura di sconfiggere l’Impero Tedesco, non c‘era più, né ci sarebbe stata mai più.

Ma, a Bologna e non solo a Bologna, sopravvissero residui di resistenza che avrebbero cambiato la Storia della città. Il processo ai templari fu gestito da Ronaldo di Concorrezzo (1250-1321), arcivescovo di Ravenna, il quale assolse di fatto tutti i Templari locali rifiutandosi di applicare la tortura. Il Papa sollecitò pesantemente affinché si svolgessero nuovi processi che portassero alla condanna dei templari, cosa che ebbe successo a Firenze e a Pisa, ma Rinaldo fece orecchie da mercante. A quel punto il Papa si arrese, memore di quanto era successo a Re Enzo.
Alla morte di Clemente V, il papa successivo Giovanni XXII, si accontentò di mandare a Bologna un suo uomo, Bertrando del Poggetto, che i bolognesi accettarono come Signore, sulla base di una vaga quanto fugace promessa di trasferire il Papato a Bologna di ritorno da Avignone. Ma alla morte di Giovanni XXII, i bolognesi si scantarono e distrussero il castello di Galliera, che Bertando aveva costruito (1334) e che avrebbe dovuto essere la nuova residenza papale.
Gli attuali giardini della ‘Montagnola’, dove ha sede il ‘mercatino’ della città, sorgono appunto sulle rovine del palazzo del Papa.
Tramontata l’idea di creare una corte papale a Bologna, il nuovo papa, Benedetto XII, fece erigere nel 1335 il proprio palazzo ad Avignone e, di contro, nel 1337, i bolognesi assegnarono la signoria della città a Taddeo Pepoli (1290-1347), erede conclamato del potere e della ricchezza dei templari, come vedremo tra poco.

Ma la ‘resistenza’ bolognese all’abolizione dell’Ordine templare non può essere considerata un fatto isolato. In Portogallo, il Re Dionigi, semplicemente ne cambiò nome in Ordine dei Cavalieri di Cristo, che ne mantenne tutte le sue ricchezze, guadagnando anche molte navi in fuga dal porto francese di La Rochelle, e diede origine alla straordinaria epopea dei Re Navigatori che trasformò un piccolo paese ai confini del mondo in un impero mondiale.
Nella penisola iberica nei concili di Salamanca e di Lisbona i Templari furono assolti. Nel regno di Aragona, il Re Giacomo II organizzò un’operazione analoga a quella portoghese fondando l’Ordine di Montesa e riuscì ad evitare che i beni templari finissero agli Ospitalieri. Nel regno di Castiglia vi fu una leggera variante perché erano già stati costituti Ordini paralleli a quelli gerosolomitani ma facenti capo al re, come l’Ordine di Calatrava, l’Ordine di Santiago o di Alcantara, dove finirono la maggioranza non solo delle ricchezze templari ma anche i singoli cavalieri. Nella penisola spagnola nessuno poteva seriamente ipotizzare di rinunciare all’Ordine del Tempio, essenziale per la Reconquista dell’intera penisola.
Fu così che, completata la Reconquista, due secoli dopo, le caravelle di Colombo poterono salpare da Palos esponendo orgogliosamente la croce rossa templare sulle loro vele.
Solo l’Inghilterra di Enrico II, dopo una iniziale indecisione, si allineò alla politica francese e papale. I templari sopravvissuti si trasferirono quindi in Scozia dove li attendeva un primo contingente guidato da Pietro da Bologna, l’avvocato del Tempio, fuggito da Parigi in Scozia poco prima del suo arresto nel 1310. I templari regalarono alla Scozia un paio di secoli di indipendenza dall’Inghilterra perché l’improvvisa carica dei 200 cavalieri pesanti bianco-vestiti al culmine della battaglia di Bannockburn devastò l’esercito inglese che subì una delle peggiori sconfitte della sua storia.
Carte templari e post-templari sulla navigazione oceanica custodite dai conti di Sinclair, i costruttori della cappella di Rosslyn, transitarono poi verso Cristoforo Colombo, dandogli la certezza che gli alisei lo avrebbero portato al di là del grande mare Oceano, se imboccati a una certa latitudine ma lo avrebbero anche fatto tornare se imboccati a una latitudine maggiore.

Ma a Bologna che fine fecero i beni e cavalieri?

Dopo la soppressione dell’Ordine Rinaldo di Concorrezzo non aveva potuto evitare il trasferimento dei beni templari agli Ospitalieri, su direttiva papale.
La sede in Strada Maggiore, le loro chiese, le costruzioni cittadine, i terreni agricoli passarono quindi agli Ospitalieri così come quasi tutti i cavalieri rimasti. C’è chi sostiene che anche il grande Pietro da Bologna, l’avvocato del Tempio, fuggito appena in tempo da Parigi sia tornato in città, sia passato senza colpo ferire ai Cavalieri di Malta e abbia qui vissuto serenamente i suoi ultimi giorni. La interpretazione si basa sul fatto che il frate ragioniere che presiedette al passaggio dei beni ai cugini Ospitalieri si chiamava anch’egli Pietro. Noi riteniamo però che la cosa non avrebbe potuto passare sotto silenzio per l’assoluta importanza di Pietro da Bologna che poteva difficilmente mimetizzarsi negli abiti di uno sconosciuto frate contabile e riteniamo più probabile dare credito ad altre fonti che lo vogliono fuggito in Scozia, come già illustrato.

Non si hanno notizie su chi ereditasse armi e cavalli templari ma a noi piace pensare che siano state assegnate all’antichissima Società dei Lombardi, che è ancora esistente e operante in città. Essa fu fondata nel 1170 e ha, ancora oggi, sede all’interno della Chiesa di Santo Stefano.
Le compagnie d’armi erano contigue agli Ordini Gerosolomitani perché, sebbene composte da civili, esprimevano un bel numero di cavalieri. La Compagnia dei Lombardi (cittadini bolognesi provenienti dalla Longobardia), insieme a quella dei Toschi (cittadini bolognesi provenienti dalla Toscana) diede un importante contributo alla battaglia di Fossalta.

Il Beauceant, il vessillo templare

Lo stemma della Compagnia è costituito da righe bianche e nere, richiamando esplicitamente il Beauceant, la mitica bandiera templare che doveva essere protetta in battaglia a costo della vita. Filippo degli Ugoni, podestà di Bologna nonché comandante in capo nella Battaglia di Fossalta, proveniente, appunto, da Brescia aveva proprio uno stemma famigliare identico a quello del Lombardi.

Ma i beni templari consistevano anche in una mitica ricchezza mobiliare, il loro tesoro, per appropriarsi del quale Filippo IV il Bello volle distruggere l’Ordine.

Dove finì a Bologna l’Oro del Tempio?

Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro. I Templari non furono solo un Ordine guerriero ma, per motivi mai del tutto chiariti, ebbero un ruolo clamoroso nella finanza cristiana.
Di fatto essi inventarono il sistema finanziario occidentale. All’epoca il prestito a interesse era proibito in tutta la cristianità, così come lo è tutt’ora nell’Islam. Ciò discende direttamente dalla parola di Dio, quella trasmessa a Mosè sul monte Sinai e non è quindi cosa facilmente accantonabile: qualunque cosa aggiunta al capitale dato in prestito è usura ed è peccato mortale, senza se senza ma.
La Chiesa difese questo principio strenuamente fino a tempi relativamente recenti e, all’epoca, era decisamente rigorosa sul punto, tanto da lasciare l’attività usuraia in mano agli ebrei (che tanto sarebbero andati all’Inferno comunque).
Con le crociate sorsero però nuove esigenze di flessibilità monetaria. Un pellegrino non poteva certo partire per la Terrasanta con il suo sacchetto di monete d’oro perché sarebbe stato rapinato all’istante. I Templari inventarono quindi la ‘la lettera di credito’: il pellegrino avrebbe potuto consegnare il suo oro in una magione del Tempio in Occidente che gli sarebbe stato restituito quando fosse giunto a Gerusalemme, dedotta ovviamente una percentuale per il servizio.
Questi ‘servizi finanziari’ erano ammessi dalla Chiesa in quanto non erano considerati usura. Un altro servizio ‘legale’era quello di custodia, da cui nacquero successivamente i Monti di Pietà, dove si poteva lasciare in custodia un oggetto di valore beneficiando di un ‘prestito’. Solo aggiungendo i costi del servizio al valore dell’oggetto sarebbe stato possibile riscattarlo in futuro. La differenza tra un servizio di custodia e un prestito a interesse con garanzia era sottile o forse proprio di lana caprina.

L’insieme di questi nuovi servizi bancari, permessi dalla Chiesa, nati con le crociate, portò ben presto alla scoperta del vero ‘Tesoro dei templari’, la riserva frazionaria, il cuore del sistema bancario occidentale. La riserva frazionaria non è altro che il mantenere a riserva solo una parte del denaro che ci è stato affidato. Il resto lo possiamo utilizzare in modo produttivo, nella speranza che non tutti i creditori rivogliano indietro il loro denaro nello stesso momento.
Ad esempio dopo che il pellegrino aveva affidato il suo oro alla Magione di Bologna (la maggiore del nord Italia) ed era partito serenamente per Gerusalemme, il ragioniere del Tempio sapeva che per almeno un anno ne poteva disporre liberamente. Invece di custodire le monete in cassaforte poteva affittare un campo di vite per produrre il vino (di cui i Templari erano notoriamente ghiotti. Il detto ‘Bere come un Templare’ è da considerarsi storicamente ben fondato). Il vino prodotto aveva un valore ben superiore all’affitto del campo per cui bastava venderne una parte per rimborsare il pellegrino. Si guadagnava quindi due volte: ci si faceva pagare dal pellegrino il costo di una custodia che non c’era e ci si teneva il vino eccedente che si era prodotto.

Questo è il motivo per cui Filippo il Bello non trovò granché del tesoro templare, perché l’oro non veniva ‘custodito’ ma veniva ‘impiegato’ produttivamente conservandone prudentemente solo una parte a ‘riserva’ nel caso di sopravvenienze impreviste. Tutto legale perché non si trattava di ‘usura’.
Per semplicità poteva convenire, invece che affittare un campo e produrre vino, dare l’incarico a qualche conoscente richiedendo un compenso forfettario. L’interesse, cacciato dalla porta, rientrava dalla finestra ma era un problema dell’affidatario.
I templari bolognesi si affidavano per questa incombenza ai ‘cambiatori’ del luogo di cui, tra gli altri, Alberto De’ Conoscenti e Romeo Pepoli.
La corporazione dei campsores (o cambiatores) contava a Bologna più di 600 membri ed era noto a tutti che nascondevano l’usura sotto vari escamotages, tra cui il cambio delle monete medioevali, che era particolarmente complesso e che dava il nome alla corporazione.
Ecco che quando nel 1312 l’Ordine fu soppresso i campsores si ritrovarono in possesso di ingenti quantità d’oro e di beni ‘templari’ che non potevano più restituire anche volendo. Da un giorno all’altro Romeo Pepoli divenne l’uomo più ricco d’Italia. Il suo patrimonio terriero passò da 260 a 2600 ettari in un battito di ciglia. Anche Alberto dei Conoscenti divenne enormemente ricco, acquistò la torre ed il palazzo che oggi ospita il Museo Medioevale della città ma, non avendo figli, lasciò tutto il suo patrimonio al Comune. Il lascito permise a Bologna di costruire gran parte delle mura cittadine.
Non si deve pensare che i Templari, Ospitalieri e Teutonici (che copiavano gli stessi metodi) e i loro collaboratori fossero ben voluti, tutt’altro. Esistono numerosi testamenti di persone dell’epoca che lasciavano i loro averi alla Chiesa ma escludendo proprio i tre Ordini suddetti, proprio per le loro attività usuraie ben poco gradite.
Romeo Pepoli, con il suo denaro, diventò signore di fatto della città ma alla fine ne fu cacciato e morì ad Avignone. Aveva però un figlio in gamba, Taddeo, che con astuzia e diplomazia, dopo la parentesi papale di Bertrando del Poggetto, accettò la Signoria, anche ufficialmente, nel 1337. Oltre a costruire Palazzo Pepoli, Taddeo si azzardò a coniare una moneta d’argento ad imitazione delle monete gerosolomitane, il pepolese, nella quale ringraziò a suo modo i suoi occulti beneffattori.

Da un lato il pepolese esponeva orgogliosamente la croce templare ma dall’altro, per la prima volta, raffigurava San Petronio, il fondatore di Santo Stefano, la Gerusalemme bolognese. San Petronio, fino ad allora dimenticato, assurse ad un ruolo simbolico che mantiene ancora oggi, quello del santo della città che rimane cattolica sì ma non più succube del Papato.


Il Papato avignonese in un primo momento si adontò dell’affronto dei Pepoli e, nel 1338, scomunicò ben 250 illustri bolognesi, tra cui ovviamente Taddeo, e chiuse l’università pontificia, tanto che per alcunianni le lezioni si dovettero tenere a Castel San Pietro.
Ma nel giro di poco tempo i denari ‘templari’ di Taddeo ebbero la meglio e il Papato riconobbe di fatto la signoria, nominando Taddeo vicario del Papa, in cambio di un tributo di 3.000 fiorini all’anno.

L’autonomia della città, sia dall’Imperatore che dal Papa, era salva tant’è che, nel 1390, cominciarono i lavori della basilica di San Petronio in Piazza Maggiore, all’epoca la chiesa più grande del mondo, più grande di San Pietro a Roma (che non era quella di oggi ma che risaliva ancora ai tempi di Costantino) e della cattedrale di San Pietro a Bologna, che si trova lì a pochi passi di distanza da Piazza Maggiore (oggi è la quinta per dimensioni).
Alcuni non sanno che ancora oggi la cattedrale di Bologna è San Pietro, non San Petronio, che è invece la chiesa dei bolognesi, non più guelfi papalini ma orgogliosi eredi della potenza templare.

I templari non perdonarono mai il tradimento del Papato né il Papato pensò mai di fare autocritica. Ancora oggi la Curia bolognese, divenuta di recente ricchissima a causa una enorm’eredità di un privato di circa 1 miliardo di euro, si rifiuta di sostenere le spese di chiese ‘templari’, come Santo Stefano e il Cenobio di san Vittore. Quando, pochi anni fa, il tetto di Santo Stefano venne letteralmente giù i bolognesi dovettero fare una pubblica colletta per ripararlo.
Ma su certi argomenti in città vige una sobria ed educata riservatezza.

Per completare la disamina della storia segreta dell’eredità guelfo-templare a Bologna ci resta da esaminare il ruolo dell’ultimo Ordine militare di grande rilievo locale, quello dei Cavalieri Gaudenti,  ma che sarà oggetto di un prossimo articolo.

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