Le armi segrete del Duce esistevano davvero?

Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale si diffuse la notizia che le Forze dell’Asse stavano per mettere in campo delle armi segrete in grado di ribaltare l’esito della guerra.
Sembrò, ai più, solo un modo, piuttosto infantile, di rinvigorire il morale di truppe che stavano andando incontro al disastro cosicché accettassero il loro tragico destino confidando ancora nella vittoria. Quando però il 6 agosto del 1945 esplose la prima bomba nucleare su Hiroshima ci si dovette ricredere: le armi segrete esistevano davvero. Solo che le avevano gli altri.

Ma ormai la guerra era finita e le ipotetiche armi segrete delle Forze dell’Asse andarono nel dimenticatoio. Per molti anni nessuno parlò più dell’argomento fino ad un recente sussulto di interesse. Il libro La Terra canta in Do – L’arma segreta di Guglielmo Marconi di Maurizio Agostini è un romanzo che  riporta, nei suoi interludi storici, una notevole quantità di informazioni sull’ultima invenzione di Marconi che era proprio la principale arma segreta a cui pensava il Duce.

Ci sono le prove che quest’arma segrete esistette veramente? Sì, ci sono.

La prima, e la più importante, sta nell’ultima intervista di Mussolini. Un paio di settimane prima di morire il Duce parlò su un isolotto del Lago di Garda con il giornalista Ivanoe Fossani che pubblicò l’intervista, nel 1952, sotto il titolo di Soliloquio. Essa venne anche ripubblicata da un editore romano col titolo Latinità: Mussolini si confessa alle stelle. Ma queste prime edizioni sono quasi introvabili. Fortunatamente un appassionato, Livio Parisi, proprietario del ristorante Osteria al Pescatore a Brenzone sul Garda, ne ha pubblicato un estratto integrale in una edizione fuori commercio (Sotto le stelle sull’isola di Trimelone). Le parole testuali del Duce non lasciano dubbi: se Marconi gli avesse rivelato il suo segreto le sorti della guerra sarebbero cambiate.

Un’altra clamorosa testimonianza è in una autobiografia di Rachele Mussolini (Mussolini privato. Rusconi ed. 1980) dove è descritta la principale caratteristica dell’arma: fermare i motori di auto e aerei. Rachele afferma di aver assistito personalmente a una dimostrazione sull’autostrada Roma-Ostia.

Esistono poi un’enorme quantità di rapporti dei servizi segreti dell’epoca, sia italiani che non, che dimostrano la preoccupazione di tutti per il raggio marconiano. Tutti concordano che Marconi non ne volesse rivelare ai tedeschi il segreto e che rallentò i suoi studi su consiglio del Papa in persona. Molte informazioni su questo ed altro si trovano nel libro di Marc Raboy, Marconi the man who networked the world. Oxford University. 2016, che purtroppo non è stato ancora tradotto in italiano.

E comunque Marconi morì nel luglio del 1937 portandosi il segreto nella tomba. O forse no?

Qui si apre uno scenario inquietante che riguarda anche l’altra grande arma segreta, la bomba atomica che nacque in America, terra molto più povera di grandi scienziati che non l’Europa.

La fisica quantistica era stata inventata da Einstein, ebreo tedesco, era proseguita con Bohr, danese, e Heisemberg, tedesco, mentre in Italia troneggiavano il grande Guglielmo Marconi e il suo amico Orso Mario Corbino, fondatore del gruppo dei ‘Ragazzi di via Panisperna’, che insieme avevano promosso un paio di convegni mondiali di fisica atomica sotto l’egida di Enrico Fermi.
Il gruppo di via Panisperna era alla pari, se non superiore, al ‘clan degli ungheresi’, un incredibile gruppo di scienziati ungheresi, tutti di origina ebraica kazara,  guidati da Szilard, il primo ideatore dell’atomica.

E in America? Quasi nulla. Dopo la morte di Edison nel 1931 e la messa fuori gioco di Tesla, che era peraltro serbo, il solo fisico di caratura internazionale rimasto era Arthur Compton, amico di Marconi. Julius Oppenheimer, nato a New York ma da una famiglia ebrea tedesca, studiava e lavorava ancora in Germania. Tornato negli Stati Uniti fu lui a dare avvio al Progetto Manhattan nel 1942.

Tutto faceva pensare che fossero i grandi scienziati europei a progettare la bomba e in effetti fu così ma lo fecero negli USA. Hitler fu nominato cancelliere Il 30 gennaio 1933. Einstein, nato in Germania 54 anni prima da famiglia ebrea, in quel momento si trovava temporaneamente all’Università di Princeton negli Stati Uniti e non ritornò più. Da Princeton aveva già iniziato a coordinare un’attenta campagna volta a far uscire dall’Europa nazista il maggior numero di scienziati. I primi erano stati i suoi amici ebrei ungheresi.
Szilard si recò subito a Londra nel 1933 e poi, nel 1938, negli USA. Gli altri fisici facenti parte del clan degli ungheresi, tutti ebrei kazari, seguirono percorsi analoghi: Teller in Inghilterra mentre Von Neumann e Wigner erano già a Princeton dal 1930. Max Born (ebreo tedesco) nel 1933 si trasferì a Cambridge e poi a Edimburgo. L’austriaco Schroedinger, dopo varie incertezze e peripezie, finì a Dublino. Bohr, danese, fu rapito e portato in Svezia e poi in Inghilterra. Tutti a collaborare al Progetto Manhattan per la costruzione dell’atomica.

E l’Italia? Il collasso della scienza italiana cominciò nel gennaio del 1937 quando morì, all’improvviso e in circostante poco chiare, Orso Mario Corbino, importante massone, amico del Re, ministro del fascismo, oltreché grande fisico e capo politico di Fermi e degli altri ‘ragazzi’.

Nel luglio successivo, poco prima di un suo viaggio in Inghilterra, morì per una crisi cardiaca Guglielmo Marconi.
Nel romanzo di Agostini si adombra il sospetto che Marconi potrebbe essere stato ucciso, proprio per evitare il suo trasferimento in Inghilterra da dove, molto probabilmente, non sarebbe più ritornato. Visto il contesto, l’ipotesi appare tutt’altro che peregrina. Marconi aveva il cuore malandato, sarebbe bastato aggiungere un po’ di potassio alle fiale di morfina che era costretto a usare per provocargli una crisi mortale. E all’insaputa di tutti, dei parenti, degli amici, dei medici e delle infermiere. Un delitto perfetto. Chissà, forse, con le tecnologie, moderne sarebbe possibile riesumare il corpo di Marconi e verificare se vi siano o meno tracce anomale di potassio o di qualche altra sostanza nei suoi tessuti.

In ogni caso nel marzo del 1938 scomparve anche Ettore Majorana, dopo essersi recato a Palermo presumibilmente per parlare con un altro fisico del Gruppo di Via Panisperna, Emilio Segrè. Anche qui una sparizione, o forse un delitto, molto opportuno ma per un motivo opposto. Majorana aveva simpatie fasciste ed era amico di Heisemberg. Il suo contributo ad un’atomica tedesca sarebbe potuto essere tutt’altro che trascurabile.
Segrè, ebreo, si trasferì subito dopo, a Berkleley in California, sempre a lavorare per il Progetto Mahattan. Anche gli altri ragazzi di via Panisperna ebbero percorsi simili.
Bruno Pontecorvo, ebreo, si era recato a Parigi già dal 1936 da dove emigrò negli Stati Uniti. Fu uno dei pochi a non lavorare al progetto Manhattan perché comunista. Nel 1950 si trasferì infatti in Russia. Rasetti, pur non essendo ebreo, scappò in Canada nel 1939 anche se soli due anni prima aveva ricevuto il Premio Mussolini dell’Accademia d’Italia.
Ma il caso più clamoroso fu quello di Enrico Fermi. Partito per Stoccolma, dove  il 10 dicembre 1938 ricevette il Premio Nobel, non ritornò più in Italia e se ne andò direttamente negli Stati Uniti a lavorare per il Progetto Manhattan.  Fermi aveva sposato un’ebrea ma era il protetto di Corbino e di Marconi, che era presidente del CNR. Scomparsi loro aveva capito che era giunto il momento di andarsene. Il 2 dicembre del 1942, nelle cantine di Chicago, accese il primo reattore nucleare della storia.

In solo due anni la fisica italiana era scomparsa e quella tedesca era ridotta ai soli Heisenberg e Otto Hahn. Pochi giorni dopo il Premio Nobel a Fermi, nel dicembre del 1938, fu proprio Otto Hahn ad annunciare la scoperta della fissione dell’uranio.

Ma ormai i giochi erano fatti. In Europa non vi erano quasi più fisici in grado di proseguire gli studi sull’atomica. Oltretutto Hanh, pur restando in Germania, rimase sempre un fiero oppositore del nazismo, aiutando diversi scienziati ebrei a emigrare in Svezia. A quel punto per la Germania, con il solo Heisenberg,  realizzare una bomba atomica sarebbe stato impossibile.

Senza dubbio fu un complotto molto ben congeniato e di cui non si parla mai.

Ma l’arma segreta del Duce, il raggio marconiano non sembrava essere un ordigno nucleare. Era senza dubbio un’arma elettromagnetica. Marconi, pur proteggendo i fisici nucleari italiani in qualità di Presidente del CNR, non lavorava con loro. Lavorava da solo, nella sua barca, l’Elettra, nel segreto più assoluto. Forse l’unico a cui aveva comunicato qualcosa poteva essere stato Arthur Compton, lo scienziato americano che Marconi aveva fatto venire apposta dagli Stati Uniti per assistere a una clamorosa entrata il porto alla cieca della sua nave Elettra nel 1934.

In effetti Marconi lavorava alla sua arma già da alcuni anni e vi sono indizi che Arthur Compton e suo fratello abbiano portato avanti ricerche simili, senza però cha abbiano risultati eclatanti. Assolutamente misterioso poi il ruolo del Papa, a cui Marconi si era rivolto perché non voleva dare la sua arma agli odiati tedeschi.
Insomma i documenti dell’epoca farebbero pensare che l’arma marconiana fosse una realtà comprovata anche se non adeguatamente sperimentata.

Con lo scoppio della guerra comparvero dal nulla misteriosi personaggi che pretendevano di avere un’arma molto simile a quella marconiana. Assolutamente da non perdere il libro di due finanziari (Severino, Pavat. Il Raggio della Morte. Xpublishing. 2013) in cui compare un certo Franco Marconi, omonimo ma non parente del grande Guglielmo, che riusciva a far esplodere depositi di munizioni a distanza durante la guerra. Finito prigioniero dei tedeschi si rifiutò di svelare loro il segreto e fu liberato dagli americani alla fine della guerra.

Ma anche la televisione si è occupata del Raggio della Morte. Nella puntata di Voyager del 21 dicembre 2004, fu intervistato il fratello di un certo Domenico Rizzo di Catania che aveva anche lui inventato il Raggio della Morte durante la guerra. Si recò a presentarlo a Quirino Majorana, lo zio di Ettore, a Bologna ma fu cacciato in malo modo. Morì in Africa.

E anche nel dopo guerra l’arma marconiana non perse nulla del suo fascino. E’ degli anni ’70 l’epopea di Pellizza che disponeva anche lui di un Raggio della Morte che diceva essere stato progettato da Ettore Majorana. Molto interessante il libro di Ravelli (Il Segreto di Majorana, Pavia, 2011), in cui nella lunga storia di Pellizza compaiono scienziati famosi e politici del calibro di Andreotti e Kissinger.

Ma ad oggi l’arma segreta marconiana è definitivamente scomparsa?

Neanche per idea, è più attuale che mai. La disavventura dell’incrociatore americano Donald Cook durante la crisi di Crimea, paralizzato da un aereo sovietico che aveva in dotazione una cosa del tutto analoga al raggio marconiano lo sta a dimostrare. Qui non vi sono ancora libri, a mia conoscenza, ma si trovano notevoli emergenze in internet.

Che dire infine, a parte che le armi segrete restano tuttora segrete?

Si può chiudere solo con le ultime parole di un rappresentante di una misteriosa società del Liechtenstein di proprietà del Vaticano: “Il Raggio delle Morte comparirà quando Dio vorrà”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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