Sì, Garibaldi fu ferito ma non solo a una gamba. Fu ferito dove patì molto più dolore, fu ferito nell’onore. E questo segnò il destino dell’Italia.
A fine maggio del 1859 Garibaldi era impegnato con i suoi Cacciatori delle Alpi dalle parti del lago Maggiore, nella Seconda Guerra d’indipendenza, contro gli austriaci e a supporto del Piemonte e della Francia.
Erano momenti bui per lui.
Aveva solo 52 anni ma era già tormentato dall’artrite e da una serie di mali dovuti alla sua vita avventurosa. Qualche anno prima, nel 1855, aveva comprato una tenuta a Caprera con la prospettiva di ritirarsi. Si era messo a fare l’agricoltore e l’allevatore, aveva già 100 alberi d’ulivo, un vigneto, 150 mucche, 400 galline, 200 capre, 50 maiali e più di 60 asini. Sì, quello era il suo futuro.
Ma alla fine del 1858 aveva incontrato Cavour che gli aveva chiesto supporto per la Seconda Guerra d’Indipendenza (guerra brevissima, che sarebbe cominciata nell’aprile del 1859 e finita nel luglio con la cessione della Lombardia alla Francia e poi al Piemonte), facendogli anche molte promesse da marinaio.
Ora, in quella guerra, operava su un fonte secondario, addirittura come comandante in seconda. E si stavano diffondendo le voci che, in cambio dell’aiuto dei francesi, Cavour avrebbe ceduto alla Francia la Savoia e la sua amata Nizza.
Inoltre proprio in quei giorni, nel maggio 1859, la sua donna, la lavandaia nizzarda Battistina Ravello, aveva messo al mondo, a Caprera, una figlia, una femmina che lei aveva chiamato Anna Maria ma che Garibaldi soprannominò presto Anita, in onore della sua prima moglie.
Forse era proprio tempo di ritirarsi.
Era davvero indeciso: mollare tutto subito e trasferirsi a Caprera o seguire gli inglesi che lo pressavano da tempo per una spedizione in Sicilia?
Ma il destino stava tessendo le sue trame. L’1 giugno 1859, al 52-enne Garibaldi, reduce dall’attacco fallito ai forti di Laveno sul Lago Maggiore, apparve sulla strada di Como, ‘come una visione’, un’avvenente diciottenne, la marchesina Giuseppina Raimondi.
Giuseppina era la figlia del marchese Giorgio, fervente garibaldino. Per il Generale fu amore a prima vista, nonostante l’imponente differenza di età.
Liberata Como, Garibaldi si insediò proprio a casa del marchese ed ebbe modo di godere ulteriormente del fascino della ragazza.
Lei però, curiosamente, non lo ricambiava.
A guerra finita, nel luglio 1859, Garibaldi si dimise dall’esercito piemontese, sbattendo la porta per essere stato trattato davvero in modo poco ossequioso, ma continuò a scriverle. In una lettera del 3 settembre si lamentava di essere trattato da lei ‘con amicizia ma non con amore’. Il che sembrerebbe stare a indicare che, fino a quel momento, non era ancora successo granché.
Ma in quell’autunno le cose cambiarono. Improvvisamente lei gliela diede. E come spesso accade, adesso sembrava essere il Generale a tirarsi indietro.
In una lettera del 30 novembre Garibaldi, titubante, le prospettava gli ‘ostacoli’ che si sarebbero frapposti al loro matrimonio, e cioè il suo legame con Battistina Ravello, la notevole differenza d’età, la sua fedeltà alla causa nazionale.
Ma lei insisteva: adesso che mi hai avuta mi devi sposare! E, in una dramamtica lettera del 29 dicembre, gli comunicò la ferale notizia: ‘Sono incinta’.
Garibaldi fece buon viso a cattivo gioco. La ragazza gli piaceva e molto. Poteva proprio essere l’occasione che aspettava per ritirarsi, con lei, nella sua Caprera e passare qualche anno sereno e felice.
Si organizzarono in fretta le nozze e, il 24 gennaio 1860, nella cappella privata della villa di famiglia, i due si sposarono.
Usciti dalla chiesa, il colpo di scena.
Pietro Ravelli, il cugino di Giuseppina, si avvicinò al Generale e gli consegnò un biglietto. Garibaldi sbiancò visibilmente. Sul biglietto era scritto che lei era incinta di un altro e che aveva avuto rapporti, anche recenti, con altri uomini.
Il Generale si rivolse alla novella sposa e le disse: ‘Leggete qui. Ma è vero?’.
La sventurata ammise.
Garibaldi, che diventerà famoso per le sue frasi storiche di sbalorditiva concisione, esclamò:. ‘Signora, siete una puttana!’.
La ripudiò immediatamente e non la volle mai più rivedere per tutta la vita. Non rispose neppure a una sua lettera che gli chiedeva notizie dopo la ferita in Aspromonte e, addirittura, quando lei si recò fino a Caprera per vederlo si rifiutò di incontrarla.
Segno che il colpo era stato molto doloroso. Nonostante l’immediato ripudio, il matrimonio durò legalmente 20 anni. Solo nel 1880 fu sciolto in quanto ‘rato ma non consumato’ su richiesta di Garibaldi.
Giuseppina era accusata nel foglietto di avere come amante un giovane ufficiale, Luigi Caroli, di cui era incinta. Ma anche che altri, tra cui il cugino stesso, amavano approfittare della sua disponibilità.
Che la storia con Caroli fosse vera è confermato dal fatto che, pochi giorni dopo, i due fuggirono in Svizzera. Presto Caroli la lasciò per partire per la Polonia e lei se ne tornò a casa, dove partorì, in agosto, un bimbo nato morto. Caroli fu catturato dai Russi che lo spedirono in Siberia dove morì pochi anni dopo. Sembra però che continuasse a scrivere alla sua amata Giuseppina fino alla fine.
Le spiegazioni per il gesto di Rovelli di informare il Generale di un fatto così scottante, peraltro a nozze avvenute, sono state di due tipi.
La prima strettamente personale: gelosia. Rovelli, che si faceva la cuginetta fin da piccola, era stato emarginato dall’arrivo contemporaneo degli altri due uomini e se ne era risentito. Ma è una spiegazione poco convincente.
Più intrigante è invece quella del complotto internazionale. Rovelli sostenne che era stato fortemente spinto a rendere edotto Garibaldi della poco specchiata moralità della marchesina da Jessie White, la moglie inglese di un importante garibaldino, Alberto Mario.
Benché Jessie smentirà la cosa in un suo libro, sembra che fosse arrivata a dire che, se non ci avesse pensato Ravelli, lo avrebbe fatto lei stessa. Anzi sembra che le crude parole del biglietto fossero di suo pugno. Rovelli rimase incerto fino in fondo, ma alla fine, con le spalle al muro, le diede retta per minimizzare il danno per se stesso.
La White insisteva molto sul fatto che tale matrimonio non s’aveva da fare. Era una giornalista del London Daily News, amica di Mazzini, che molto si era spesa per la causa italiana in Inghilterra e Scozia. Qualcuno potrebbe anche dire una spia dell’Inghilterra.
Il matrimonio era molto mal visto dagli inglesi per il rischio che comportasse il ritiro a vita privata del Generale, vanificando così la complessa opera di organizzazione e finanziamento dello sbarco in Sicilia che era quasi terminata.
E il nostro Giuseppe?
Tornare a Caprera, da solo (la povera lavandaia Battistina, che non poteva sapere quello che stava combinando il suo uomo neppure dai giornali perché non sapeva leggere, era stata convenientemente rispedita a Nizza), non era più così attraente. Ma soprattutto era obbligatorio rilanciare la sua immagine, pesantemente infangata da un fatto personale di cui tutta l’Italia rideva sommessamente.
Sì, la vita aveva scelto per lui.
L’11 maggio 1860, solo cinque mesi dopo il suo sfortunato matrimonio, Garibaldi sbarcava a Marsala con i suoi Mille e l’entusiastica scorta dei suoi amici inglesi.
Era nata l’Italia.
Ed era figlia della non irreprensibile moralità di una marchesina lombarda.
La storia del secondo matrimonio di Garibaldi è ufficiale e non vi è difficoltà a reperirne resoconti anche se, naturalmente, fu accuratamente accantonata nelle numerose narrazioni ufficiali del Risorgimento.
Alla sua morte, nel 1916, la marchesina Giuseppina Raimondi lasciò le lettere e le sue memorie al direttore dell’Archivio di Stato di Mantova, Alessandro Luzio (Archivio di Stato di Mantova, Carte Raimondi) qui. Uscirono anche diversi libri che citavano il breve matrimonio, a partire proprio dal libro di Luzio (A. Luzio, Garibaldi, Cavour, Verdi, Torino 1924).
Ma certamente più pruriginosa è la lettura, per chi ha la fortuna di possederlo, dell’ormai introvabile contributo di Gilberto Oneto, L’iperitaliano: eroe o cialtrone? Biografia senza censure di Giuseppe Garibaldi. Il Cerchio. Rimini 2006.
Per una storia alternativa del Risorgimento si può fare riferimento anche a Gigi di Fiore. Controstoria dell’Unità d’Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento. Rizzoli. Milano 2007, o anche Briganti. Controstoria della guerra contadina nel sud dei Gattopardi, 2017.
Articolo molto interessante, da leggere attentamente soprattutto da chi ha sempre drammatizzato in modo troppo severo e poco laico gli episodi che portarono all’ unità del nostro amato paese, trascurando spesso il fatto che a fare la storia sono state anche le cosce allegre della Contessa di Castiglione e di questa meno conosciuta marchesina Raimondi, ma soprattutto dimenticando che a fare la storia sono sí grandi generali, intellettuali prestigiosi, politici impareggiabili, ma sempre e comunque UOMINI